10 errori che forse stai facendo

E che ho fatto pure io

Venerdì scorso sono intervenuta al Marketing Business Summit per parlare di dieci errori diffusi nella comunicazione online di piccole e medie attività. Questo è il testo del mio intervento; se volete vederlo nella sua versione integrale potete acquistarlo sul sito dell’evento.

1. Troppi hashtag

Agli hashtag vengono attribuiti i poteri magici: pare che se ne metti uno la tua visibilità moltiplica, perché ci sarebbero un sacco di persone che «cercano le parole chiave» usando gli hashtag. Ora, io mi chiedo e vi chiedo: quand’è l’ultima volta che avete cercato qualcosa usando un hashtag? Del tipo che volevate comprare del pane, e quindi siete entrati su Instagram e avete inserito nella barra di ricerca la parola #panettiere. Probabilmente mai.

E perché pensiamo che i nostri clienti dovrebbero fare il contrario? Perché se abbiamo un bar crediamo che inserendo le parole #brioche, #caffè, #cappuccino il nostro target possa trovarci più facilmente?

Secondo me ha senso usare gli hashtag a queste due condizioni:

  1. se l’hashtag è utile a chi legge, se aggiunge valore a ciò che stai dicendo, ha completamente senso usarlo. Se sei su Twitter e stai commentando la cerimonia degli Oscar, o se su Instagram stai pubblicando una foto che ti è stata ispirata da una serie di altre foto sullo stesso tema, allora sì all’hashtag: aiuta chi guarda a capire qual è il contesto in cui nasce quel contenuto. E se lo usi bene ha anche un’altra ricaduta positiva: riesce a rendere umano un brand, a metterlo in contatto e in relazione con il suo target, che probabilmente in quel momento sta facendo la stessa cosa: sta guardando la cerimonia degli Oscar in streaming e la sta commentando su Twitter. L’hashtag in questo caso è utile a chi legge perché fa capire meglio di cosa stai parlando, ma è utile anche a te, perché ti avvicina e ti mette in relazione con il tuo pubblico.
  2. Se l’hashtag serve per promuoverti e se tu hai le giuste aspettative riguardo ai risultati che quell’hashtag ti può portare, io dico via libera. In questo caso è utile tenere sempre a mente che gli hashtag non sono magici, al massimo funzionano da collettori di contenuti. Pensiamo ad esempio all’hashtag che raccoglie i contenuti di una Twitter chat promossa da un brand: si tratta di un hashtag promozionale, ma non è fine a se stesso. In questo caso l’hashtag diventa un’occasione per parlare di un argomento interessante sia per il brand, sia e soprattutto per il suo target.

Poi c’è un discorso di canali: a questo proposito Surepayroll ha fatto una ricerca analizzando i più di 200mila post di brand, e ha notato come:

  • gli hashtag su Facebook sono da evitare: la reach dei post è migliore se non si usano hashtag, e più hashtag aggiungo più la mia reach diminuisce
  • gli hashtag su Instagram invece sono utili per fare crescere la propria comunità: i post con più di 11 hashtag hanno mediamente più interazioni
  • su Twitter il tasso di interazioni aumenta con 1-2 hashtag, e diminuisce a partire dal terzo hashtag.

2. Usare i social come una vetrina

Questo errore vale per tutti quelli che usano i social (o il blog, o la newsletter) solo per promuoversi e non aggiungono nient’altro, non danno una ragione per cui dovremmo seguirli. Vale anche per chi usa lo stratagemma di fotografare i propri prodotti e schiaffarci sopra una citazione, perché “le citazioni funzionano”: sì, ma è comunque un post promozionale.

Questo errore nasce dal fatto che spesso la comunicazione online è vista come alternativa alla pubblicità sui media tradizionali. Prima di prendere un cliente io gli chiedo sempre perché vuole investire nella comunicazione online, e spesso mi sono sentita rispondere «perché è gratis», «perché costa meno della pubblicità sui giornali», «perché se avessimo il budget di CocaCola non saremmo certo qui a parlare di Facebook, staremmo facendo girare degli spot in TV». Non avendo i soldi per fare pubblicità si apre una Pagina Facebook e si inizia a comportarsi come Facebook fosse nato per fare la pubblicità.

Il problema, e lo ripeto per l’ennesima volta, è che i social media sono appunto social, quindi bisognerebbe usarli, prima di tutto, per chiacchierare con i propri fan, per costruire o rafforzare una relazione. Va bene la pubblicità, ma pure quella andrebbe fatta tenendo presente che quando apriamo Facebook siamo in una conversazione, che c’è una relazione con cui fare i conti. Ovviamente perché questo avvenga bisogna tenerci: tenere al fatto di avere una relazione con il proprio pubblico. E non è detto che sia così.

3. Distrarre il target

Mi capita spesso di visitare siti internet costruiti come labirinti: l’obiettivo finale dovrebbe essere fare capire al nostro potenziale cliente che siamo la persona/azienda giusta per lui, ma spesso per farlo progettiamo dei percorsi a ostacoli. Le parole, le immagini, la disposizione degli elementi sulla pagina: tutto dovrebbe aiutare a costruire un cammino, un discorso che fili liscio, che porti il target a pensare «ecco, quando avrò bisogno di un (inserire professione) saprò dove trovarlo».

Invece ecco mille occasioni di distrazione: giochi di parole e immagini incoerenti sono le prime della lista. Ma persino elencare nel dettaglio il proprio CV (nel caso dei liberi professionisti) o la propria storia e fondazione (nel caso delle aziende) toglie l’attenzione da ciò che è importante: dire al potenziale cliente qual è il nostro modo di lavorare, qual è il motivo per cui si fa un tale lavoro, qual è il proprio metodo.

È difficile iniziare quella relazione di cui parlavo poco fa se non diciamo nulla di memorabile, se non affermiamo con forza qualcosa che aiuti il potenziale cliente a ricordarsi di noi, e a ricordarsi di noi per le cose giuste.

Quindi a chi mi chiede: cosa devo dire sul mio sito? Qual è il messaggio della mia comunicazione? Io rispondo: la prima cosa che puoi fare è costruire un elenco dei tuoi punti di forza, la seconda è comunicarli in maniera chiara, senza distrazioni.

4. Spiagge dorate, acque cristalline

Se visitavi il sito di un mio cliente che aveva un villaggio turistico (ce l’ha ancora, ma non è più mio cliente) fino a poco fa ricevevi questo messaggio: venite da me per la quiete e il relax, per la spiaggia pulita e acque trasparenti. Lo ricevevi grazie alla spiaggia, fotografata senza bagnanti in un giorno non ventilato, e grazie al copy, che recitava «spiagge dorate, acque cristalline».

Peccato che poi le recensioni parlavano di tutt’altro, e si lamentavano di due cose: la spiaggia non è poi così pulita (sì, al mattino presto ci sono accumuli di posidonia), il posto non è poi così rilassante né deserto (sì, in alta stagione la spiaggia viene scelta da molte famiglie della zona).

È bastato fare sparire le fotografie ritoccate e modificare il copy per dare il messaggio giusto: questo è un luogo per famiglie, è immerso nella natura (di cui fa parte anche la posidonia, essenziale per mantenere le acque pulite) e la zona è ventilata. È bastato scegliere di essere coerenti con la realtà, decidere di dare le giuste aspettative.

Dopo questo lavoro le recensioni sono nettamente migliorate. Ho imparato che è meglio dire subito tutto: non lavori nei weekend? Scrivilo. La struttura è vicina all’autostrada? Dillo. Creare un incarto incoerente con il contenuto è un boomerang i cui risultati negativi sono poi difficili da riparare. Raccontarsi per ciò che si è è una scelta coraggiosa, ma ne vale la pena: il coraggio viene ripagato quando iniziano ad arrivare solo i clienti giusti, quelli con cui lavori bene, che ti aiutano ad andare nella direzione che volevi.

5. Usare foto senza il permesso

Per l’ennesima volta: le foto che si trovano su internet non sono “patrimonio comune”. Non si possono usare foto che non si ha il permesso di usare. Mai e per nessuna ragione. Il discorso delle licenze è complesso, ma nel dubbio risolviamolo così: se trovo online una foto e non ho avuto il permesso di usarla è perché non posso usarla.

Alla domanda: ok, ma quali foto posso usare? Rispondo due cose che secondo me sappiamo tutti ma che forse per pigrizia tendiamo a dimenticarci:

  1. ci sono banche date di immagini adatte alla comunicazione online, io uso questa.
  2. La cosa migliore è un’altra: prendere ispirazione dalle foto belle che si trovano in giro, e poi usare quelle foto non per pubblicarle così come sono, ma per scattarne di nuove, citando sempre la foto da cui si è presa ispirazione. Sì, ci vuole un sacco di tempo, ma chi ha mai detto che la comunicazione online è veloce?

6. Non avere personalità

Vi sarà capitato di incrociare marchi storici e autorevoli oppure piccole botteghe di lusso che aprono il loro account sui social e iniziano a parlare per emoji, o a pubblicare ogni mattina il tremendo «buongiornoooo kaffè?!?!». L’effetto è straniante, per essere generosi.

L’altro lato della medaglia – e si tratta dello stesso errore – è parlare come se si stesse stendendo un comunicato stampa: «siamo onorati di annunciare la nuova partnership, un risultato soprendente che non sarebbe stato possibile senza il patrocinio bla bla bla».

Come fai a costruire delle relazioni se non hai una personalità? La maggior parte di noi usa i social media per brand awareness, ma di cosa devono essere aware le persone che ci seguono? Come possono distinguerci dalla concorrenza se ci comportiamo come tutti gli altri?

7. Essere ossessionati dai numeri

L’illusione dei numeri colpisce tutti, prima o poi: ognuno dei canali che possiamo aprire online ha il suo strumento di analisi, il che apparentemente è meraviglioso. Siamo letteralmente sommersi dai numeri, tanto che finiamo per misurare le cose sbagliate. Presto ci si dimentica che i numeri non sono di per sé dati, e si finisce per esserne ossessionati: i numeri diventano l’unica ragione della presenza online della maggior parte delle aziende che conosco. Ma una volta che hai 50, 100, 200mila fan su Facebook, cosa te ne fai? Cosa significa quel numero?

Ciò da cui dovremmo essere ossessionati, a mio parere, è fermare momenti significativi, che spesso non sono affatto numerici. Dovremmo ad esempio catturare i commenti in cui persone esponenti in un settore che per noi è importante condividono un nostro contenuto, magari consigliando ad altri di seguirci; o commenti in cui persone influenti dicono che hanno seguito il nostro consiglio e hanno fatto qualcosa perché l’abbiamo suggerito noi per primi.

Nessun numero è in grado di rilevare questi due momenti, e se sei in fissa con i numeri non ti accorgerai mai di reazioni di questo tipo, che invece sono un risultato importante per la tua comunicazione online.

8. Interrompere le conversazioni altrui

Quando ho iniziato a fare questo lavoro sono andata a un evento per addetti ai lavori, a quel tempo seguivo un piccolo cliente e non sapevo come farlo crescere. Tutti a quell’evento consigliavano una cosa: il tuo cliente si occupa di dolci? Bene, su Twitter metti la chiave di ricerca “dolci” e poi inizia delle conversazioni con chiunque parli di questo argomento.

L’ho fatto, e l’effetto è stato tragico. Mi sono ritrovata a parlare con estranei che nel migliore dei casi mi ignoravano, nel peggiore mi dicevano «scusa ma che cosa vuoi da me, io stavo parlando con i miei amici». Interrompere le conversazioni altrui è già sbagliato di per sé, peggio ancora se lo fai per vendergli un tuo prodotto, cosa che io stavo cercando di fare.

Come si fa quindi a generare una conversazione? Prima di tutto bisogna che dall’altra parte ci sia interesse, e perché ci sia interesse bisogna essere interessanti (duh!), non pubblicare a manetta commenti di spam.

9. Eliminare i commenti negativi

Sarà capitato a tutti di ricevere un commento fastidioso, negativo. Spesso lo si archivia sotto il capitolo “troll” e si cancella la conversazione, magari bannando la persona che l’ha iniziata. Ma farlo solo perché quel commento è fastidioso è un errore.

All’interno della questione “commenti negativi” secondo me si possono distinguere due casi:

  1. il primo è quello di un commento negativo che arriva da una persona che sta commentando nel merito del post, del video, della newsletter a cui si riferisce. Un commento lasciato da una persona che ha capito di cosa stavi parlando, ma quella cosa non gli/le piace, e quindi ti lascia un commento negativo.
  2. Il secondo è il caso di una persona che non ha nessuna idea del contesto, e che commenta in modo polemico, distruttivo, insultante, senza che ce ne sia bisogno.

Solo nel secondo caso secondo me può essere utile cancellare il commento ed eventualmente bannare la persona, perché rischia di compromettere tutta la conversazione, di trascinarla su un terreno che non era quello desiderato per il gusto di infiammare gli animi, togliendo l’attenzione da ciò che per noi era importante.

Nel primo caso, invece, la scelta giusta è ringraziare per il commento e passare oltre: non lasciare che quell’unico parere negativo monopolizzi l’attenzione su di sé.

10. Non avere un’idea di business chiara

Infine l’errore più diffuso. Troppo spesso c’è grossa confusione sul business che si dovrebbe comunicare online. Come è fatto, cosa vende, chi sono i suoi clienti, e perché le persone dovrebbero comprare i suoi prodotti? Capita in molte occasioni di iniziare a parlare di qualcosa anche se le basi non sono chiare: si inizia a comunicare nella speranza che durante il processo i punti irrisolti si risolvano da sé. Ma se non sono chiare le basi è impossibile che il marketing funzioni.

Capita spesso che venga chiesta una strategia di comunicazione quando quello che è necessario, in realtà, è un business plan. E questo succede non solo tra le microaziende, ma anche tra le realtà più grandi, che uno si immagina sempre organizzate e con le idee chiare, invece troppo spesso non è così.

Però almeno una cosa bisognerebbe averla cristallina in testa: è inutile comunicare qualcosa che non si sa che cos’è.

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