Facebook lo abbiamo abbandonato. Ora è il turno di Instagram?

E inoltre: ha ancora senso usare i social?

La notizia è di martedì: i fondatori di Instagram hanno lasciato Facebook (che l’aveva comprata sei anni fa). Cosa ce ne frega, direte?

Ve ne frega tantissimo: inizio a elencare qui i punti salienti in attesa di parlarne più nel concreto durante la prima diretta di stagione insieme a Ivan. Ci vediamo il 2 ottobre su YouTube alle 12 (e poi ogni martedì alla stessa ora, fino a fine novembre, iscrivetevi al canale per partecipare ai nostri giochi di ruolo un po’ scemi e speriamo molto utili).

La testa del cacciavite

Quando avvengono questi cambiamenti – dove con “questi” intendo: tutte quelle modifiche che non riguardano i social e le loro funzionalità, ma le aziende che gestiscono quei social – molti si dicono: embè, perché dovrebbe interessarmi? Il modo migliore che ho per rispondere è usare una metafora.

Immaginate Instagram come un cacciavite a stella che all’improvviso riceve un upgrade e diventa un avvitatore elettrico: ora va più veloce e per questo lo usano più persone, quindi figata; la testa è sempre la stessa, si incastra sempre negli stessi buchi e chiude le stesse viti di prima. Poi all’improvviso a quell’avvitatore gli cambiano la testa. Diventa un avvitatore torx. È sempre lo stesso oggetto, ma se prima ci montavi i mobili Ikea ora ci stringi le viti dei treppiedi Manfrotto. Sono due usi completamente diversi e non è detto che ti interessino entrambi.

Fuori di metafora: l’acquisto da parte di Facebook ha dato a Instagram molte risorse e una bella accelerata, quindi figata. Il cambio alla testa però rischia di farlo diventare un’altra cosa – che magari mantiene a grandi linee gli stessi contorni, ma che entra in buchi diversi e lo fa per costruire cose diverse. Ecco perché se usi Instagram per lavoro (per raccontare la tua attività o quella dei tuoi clienti) ti interessa approfondire questi cambiamenti: se devi costruire un mobile Ikea non te ne fai nulla dell’avvitatore torx.

Non sappiamo ancora come sarà fatta la nuova testa di Instagram, ma possiamo provare a prevederlo ripercorrendo quello che è successo a Facebook dal 2014 in poi.

Il setaccio che non funziona

Negli ultimi quattro anni Facebook ha cambiato i connotati: all’inizio era una specie di raccoglitore di contenuti, lo aprivi per trovarci le cose che ti piacevano e interessavano, come una grossa pentola che conteneva un pasto fatto con i tuoi ingredienti preferiti. Poi è diventato un setaccio: quando pubblichiamo non abbiamo il controllo di ciò che ci mettiamo dentro – qualcosa viene distribuito oltre le sue maglie, qualcosa viene trattenuto. Infine è diventato un setaccio che non funziona: se hai una Pagina Facebook l’unico modo per allargare le maglie e far passare i tuoi contenuti è sponsorizzare, e fin qui andava ancora bene, ma poi il costo medio di queste sponsorizzazioni è salito sempre di più e abbiamo iniziato tutti a chiederci: ha ancora senso usare Facebook? Per quanto riguarda la mia Pagina se a inizio anno rispondevo «sì, ma», ora rispondo «non pubblico contenuti organici da giugno».

Le teste che ora prenderanno in gestione Instagram sono queste qui: quelle che hanno trasformato Facebook nel social meno cool del momento.

Detto ancora più direttamente: è legittimo aspettarsi che quello che è successo a Facebook nell’ultimo anno succeda anche a Instagram, anche se non sappiamo ancora in che modi e con quali tempi. È legittimo non per intuito, ma perché la testa di cui sto parlando ha un nome: si chiama Adam Mosseri, è l’ex capo dello sviluppo del newsfeed di Facebook, è passato a Instagram a maggio 2018 e ora è quello che ha in mano le redini della baracca.

È uno scossone e non è per forza negativo

A questo punto del ragionamento mi vengono in mente tutti coloro che negli ultimi mesi hanno lasciato Facebook perché non gli piaceva più, si sono iscritti a Instagram perché era meglio, e lì sopra hanno costruito piccole media company Instagram-dipendenti che ora rischiano di sgonfiarsi come palloncini su un tappeto di aghi di pino.

A cosa mi riferisco? A quella cultura propria di Instagram per cui apri un account e lo pompi a colpi di acquisti di follower per arrivare ai fatidici 10mila (si fa, dicono, lo fanno tutti), oppure lo fai crescere costruendo una rappresentazione (non importa quanto veritiera) di una vita da sogno, o, già che ci siamo, fai entrambe le cose. Fino a quando non ti regalano un pacco di cotone idrofilo e tu lo fotografi per una settimana di fila così magari qualcun altro ti regala poi qualcos’altro, senza dimenticarti di donare un generoso codice sconto ai tuoi follower, che nel frattempo si augurano che ti abbiano ricoperto d’oro come un gianduiotto per tutto questo air time che nel campo dei cotoni idrofili non si era davvero mai visto prima.

Ecco: se lo scossone che sta arrivando butta giù tutti questi castelli di carta io mi rallegro, perché non se ne può più. Non se ne può più non tanto delle foto al cotone idrofilo, che possono anche interessarmi, ma delle persone che costruiscono castelli di carta, fingono di pagarsi l’affitto con lavori che non fanno, poi vendono corsi in cui insegnano ad altri a fare lavori che loro per primi non hanno idea di come funzionano.

La fine dei social media (manager) per come li conosciamo

Quelli per cui questo quadro è demoralizzante sono i social-media-qualcosa che hanno iniziato a fare questo mestiere diciamo dal 2008 in poi. Non solo sono finiti i tempi in cui pubblicavi qualcosa e le persone interagivano (e ci eravamo già abituati) ma nemmeno si possono fare previsioni su cosa succederà da ora in poi. Di sicuro i social media per come li conoscevamo hanno cessato di esistere.

Ora il social media manager diventa per necessità un consulente specializzato: sceglie una briciola del proprio lavoro, la guarda con una lente di ingrandimento, si accorge che non è una briciola ma una pagnotta consistente, arriva a conoscerla come le sue tasche. Ci sarà quello che sa tutto di advertising su Facebook per le attività di quartiere e quello che individua al volo le priorità nella campagna di comunicazione per il lancio di una nuova palestra. Nella mia esperienza per i consulenti freelance specializzarsi e formarsi è più facile, mi chiedo (e non so la risposta) se per le agenzie possa esserci la stessa flessibilità e velocità.

Come ho già detto altrove: ora come non mai secondo me non ha senso frequentare un corso di social media marketing omnicomprensivo. Lo dico io che ne ho tenuto uno per quattro anni e che avrei volentieri continuato a farlo, anche perché quel corso rappresentava il 40-50% del mio fatturato fino a quando a novembre 2017 ho deciso di smettere di farlo. Ucciderlo non è stata una passeggiata, è stata una scelta drastica che rappresenta le mie opinioni drastiche in merito. Il consiglio che posso dare ora è: se ti mancano le basi fai pratica, se ti manca qualche argomento specifico (adv! Influencer marketing! Analisi dati!) leggi o fai un corso specifico solo su quello – o chiama un consulente che ti affianchi. Cerca casi di studio e fai esperienza, sono le due cose migliori che puoi fare, secondo me.

Canali proprietari

Questi post qui li concludo sempre con lo stesso invito: investi in canali di cui tieni tu le chiavi, in particolare:

  • sito internet, perché i siti hanno i link che possono essere condivisi in ogni luogo e in ogni lago
  • newsletter, perché così i tuoi contenuti arrivano direttamente nella casella di posta degli interessati

Quindi, per fare un esempio: se fino ad adesso vendevi i tuoi prodotti grazie alle Instagram stories continua pure a farlo, ma metti in previsione un ecommerce (nel senso: con più urgenza di prima), con tutto quello che ne consegue.

A questo invito aggiungo una nota: le newsletter funzionano ma crescono lentamente, mooolto più lentamente di come si aspetta chi arriva a usarle dopo un’esperienza sui social. Noi ad esempio abbiamo tre liste diverse, ecco i nostri numeri:

  • la newsletter di Ivan parla di fatti suoi, è nata 4 anni fa e conta 900 contatti. Ha il 62,6% di open rate medio.
  • La mia newsletter negli anni ha parlato di cose diverse, ora è una campagna RSS collegata al blog. È nata nel 2013 e conta 3598 contatti con il 50,8% di open rate medio.
  • La newsletter di Guido è quella che inviamo più spesso, è nata nel 2016 e conta 3061 contatti con il 50,6% di open rate medio.

Infine, è sempre più evidente una cosa: siamo qui per il medio periodo, e rimarrà qui chi il medio periodo può permetterselo.

Vuoi approfondire?

Ne parliamo su Guido, la mia libreria di risorse video per imparare il marketing online al tuo ritmo

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