Mia mamma ha sempre avuto sentimenti misti verso le nuove tecnologie: ogni volta che nasce una nuova tecnologia, lei per prima cosa è sospettosa. È arrivato il telefono cellulare, e lei ha pensato che fosse inutile. Poi ne ha ricevuto uno, ma ancora oggi se la chiami non sei sicuro di riuscire a parlarle, perché spesso dimentica di averlo, o di ricaricarlo, o cose così.
Quando è arrivato internet io e i miei fratelli eravamo adolescenti. Lei ha pensato che fosse un mezzo molto potente, forse troppo, perché forse connettersi con tutto il mondo in così poco tempo e con tutta questa facilità rischiava di essere totalizzante, di farci sentire onnipotenti. Credo fosse curiosa, e sicuramente anche spaventata.
Ora mia mamma ha 57 anni, e, dopo aver avuto un profilo Facebook per un breve periodo, questa estate ha deciso di cancellarlo. Ha deciso che per a lei Facebook non serve per «rimanere in contatto con le persone della sua vita», come recita la tagline di Facebook, ma per leggere. Lo usa come se fosse un feed reader, un lettore di notizie. Ha un profilo che non ci ha segnalato e che non ha amici: segue solo delle Pagine. Come Internazionale, o Il Post, o cose così. Facebook è il suo aggregatore di notizie.
Poi c’è mio papà. Mio papà adora le nuove tecnologie, gli piace scoprirle e usarle, mi ricordo quando abbiamo preso l’automobile nuova e sopra c’era il nostro primo condizionatore. Una volta eravamo in macchina, stavamo litigando, io volevo offenderlo e allora gli ho detto: «tu non sai usare il condizionatore». Ero contenta perché sapevo di averlo colpito sul suo punto più debole.
Mio papà dice che Facebook è noioso, ma in compenso ama Twitter. Passa le ore lì sopra, e parla con persone che conosce di formaggi e yogurt, che oltre a essere il suo lavoro è anche la sua passione.
Mio fratello è un informatico. Da quando abbiamo avuto un computer in casa, lui è sempre stato quello che si prendeva cura del computer, che sapeva i nomi di tutti i pezzi, che smontava e rimontava. Mi ha fatto conoscere ICQ che vuol dire «io ti cerco», ed era un servizio per chattare con sconosciuti – grazie al quale ho conosciuto un ragazzo olandese, e soprattutto ho scoperto dov’era l’Olanda. All’inizio, quando ancora non avevo un mio indirizzo email, usavo il suo. Usavo anche il suo Paypal e il suo account Ebay, una volta ho anche messo in vendita un costume da bagno e così lui si è visto addebitare la fee di Ebay senza sapere cosa fosse. Non mi ricordo se gli ho mai confessato che ero stata io.
Oggi mio fratello non usa moltissimo i social media, però frequenta i forum: è uno sportivo, e lì ci trova tutto ciò che c’è da sapere sulla bici, la corsa, lo sci, e in maniera approfondita.
E poi, mia sorella. Mia sorella è quella che gli inglesi chiamerebbero lurker: una di quelle che è sempre connessa, ma è come se non ci fosse mai. Legge tutto, sa tutto ciò che succede, ma non interagisce mai, nemmeno per mettere un like o una stellina.
La mia famiglia è molto più grossa di così, ho tanti zii e tanti cugini, e non riusciamo a vederci spesso. Ma abbiamo un blog su Blogger. Si chiama Cui ‘d Palerm, che in piemontese vuol dire «quelli di Palermo», che è il nome della cascina in cui è nata mia mamma. L’abbiamo aperto a maggio del 2006 e da quel momento non abbiamo mai smesso di usarlo assiduamente per chiacchierare. Il nostro blog è una rete privata: non è elencato nei motori di ricerca, e ognuno di noi può sia scrivere un nuovo post sia commentare. E quindi, anche se formalmente resta un blog, noi lo usiamo come se fosse un forum. L’abbiamo adattato ai nostri bisogni.
Infine, ci sono io. Io mi occupo di social media marketing per i piccoli business. Aiuto i freelance e i piccoli imprenditori a raccontare il proprio lavoro online, sia sui social media, sia usando l’email marketing o i blog. Sono sempre connessa e ho un uso intenso dei social, soprattutto per lavoro, ma non solo: quando stacco dal lavoro continuo a usarli per chiacchierare con i miei amici, spesso non in pubblico, ma usando i messaggi privati.
Ho notato che noi «addetti ai lavori» quando scriviamo e parliamo di internet e dei social media tendiamo a ignorare questa vasta gamma di usi che le persone fanno dei diversi canali che hanno a disposizione.
Si tende spesso a descrivere il comportamento delle persone su internet come se fosse lo stesso tipo di interazione che le persone hanno con un giornale: un oggetto che quando ti arriva tra le mani è già stato confezionato ha già una forma precisa, e così se vuoi usarlo non ha molte alternative se non sfogliarlo osservando ciò che c’è dentro.
Però le persone in generale usano gli strumenti che hanno a disposizione in maniera imprevedibile, e quindi lo fanno anche con gli strumenti online. Ed è una cosa che ci manda in confusione, perché è complessa: per nostra natura saremmo portati a voler definire, etichettare, chiudere, dare dei confini e dei nomi, dire «ok, questo l’ho capito e lo metto via».
Nel 1967 McLuhan parlando della differenza tra stampa e quella che lui chiama «tecnologia elettrica» diceva questo:
L’interazione tra i vecchi e i nuovi ambienti crea numerosi problemi e confusioni. L’ostacolo principale a una chiara comprensione degli effetti dei nuovi mezzi di comunicazione è la nostra radicata abitudine a osservare tutti i fenomeni da un punto di vista fisso.
[…] La nuova tecnologia richiede che abbandoniamo questa posizione, questo modo di vedere separato e frammentario.
Il metodo del nostro tempo consiste nell’usare non un angolo, ma molteplici modelli di esplorazione: la tecnica della sospensione del giudizio è la scoperta del ventesimo secolo.
Cercare di stilare le istruzioni per l’uso della rete è un esercizio inutile perché nel farlo si è portati a ignorare la complessità delle cose.
Quando si dice «su Facebook ci sono solo chiacchiere inutili» o anche quando si titola un articolo dicendo «il popolo di Twitter» lo si fa usando un punto di vista fisso (che poi è il proprio punto di vista).
Secondo me ci sarebbe bisogno di tenere in considerazione le infinite possibilità dei molteplici modelli di esplorazione: Facebook è anche usato come feed reader, un blog può anche essere usato come un forum. Twitter è usato sia per fare la Primavera Araba che per parlare di Justin Bieber. E, come dice Euan Semple, entrambi i contenuti sono validi, non c’è un meglio o un peggio:
One person’s trivia is someone else’s context. (le banalità di una persona sono il contesto di un’altra persona)
La complessità delle cose è la realtà, se la si ignora e non si sta più descrivendo l’esistente, ma solo il proprio punto di osservazione. Quindi o ci si accontenta del proprio punto di osservazione e lo si dichiara in quanto tale, oppure si sta forzatamente generalizzando in modo sterile.
La tendenza a espandere il proprio punto di vista e il proprio contesto per farne una generalizzazione è umana e comprensibile, perché più gli argomenti sono generali e più ci sembrano convincenti, e generalizzando è più facile ottenere il consenso degli altri.
Se invece si espone il proprio punto di vista come tale, spesso ci si sente più deboli, e il nostro discorso ci sembra più fragile.
A me piacerebbe che tutti accettassimo di sentirci un po’ più deboli e più fragili. Che esponessimo i nostri punti di vista in quanto punti di osservazione limitati su un contesto che è il nostro contesto, e che li esponessimo di più, senza paura che risultino banali: perché la somma di tutti questi punti di vista limitati restituisce quella varietà di modelli di esplorazione e quella sospensione di giudizio di cui tutti noi abbiamo bisogno per capire meglio la complessità, per non sentirci minacciati, ma, al contrario, per abbracciarla.