Addio ufficio in casa

Le sei ore più faticose ma anche più divertenti dell'ultimo periodo – riassunte in cinque minuti.

Sabato sera ero sotto la doccia, quando all’improvviso ho capito che era arrivato il momento di dire addio al nostro ufficio in casa. Le idee che vengono sotto la doccia si rivelano di solito molto sagge, così l’ho detto a Ivan, lui ha detto «finalmente», e ieri ci siamo messi al lavoro senza perdere altro tempo: siamo entrati in ufficio e l’abbiamo smontato tutto, imballato, caricato su un furgone.

Visto che si tratta di un momento di svolta abbiamo documentato il processo: in questo post racconto come siamo arrivati qui, mentre nel video qui sopra (oppure qui, per chi legge da newsletter) ci sono le sei ore più faticose ma anche più divertenti dell’ultimo periodo – riassunte in cinque minuti.

Trovare un equilibrio

Il nostro primo ufficio in casa è stato in quella che era anche la nostra prima casa insieme (la «casa di via Po»): una casa bella ma un po’ buia, col soffitto a cassettoni, il parquet lucido e un camino che non funzionava ma faceva comunque atmosfera. Di fianco al letto c’era una scrivania, e io non ci potevo credere che da lì in poi avrei avuto una scrivania. Fino a quel momento ero in coabitazione e lavoravo dal letto della mia camera singola mansardata, o dal tavolino del bar più comodo, o sempre dalla camera, ma seduta a terra e con la schiena appoggiata al termosifone.

La casa di via Po invece aveva una scrivania con una sedia di velluto che era un amore, e poi aveva anche un salotto–sala da pranzo: è da lì che ha iniziato a lavorare Ivan quando, dopo pochi mesi che vivevamo insieme, ha perso il lavoro perché la startup in cui era assunto ha chiuso. Non solo niente più treno Torino–Milano ogni mattina, ma anche niente più vedersi solo la sera tardi e il week end.

«Se non ti trovi un posto in coworking ci lasciamo tra un mese», gli ho detto quando ho scoperto che ci saremmo visti così tanto e così all’improvviso. Invece eccoci: io dalla camera da letto, lui dal salotto, lavoravamo entrambi da casa e avevamo trovato il nostro equilibrio.

Una stanza tutta per noi

Poi abbiamo iniziato a cercare casa. Io avevo sempre male ai polsi e avevo bisogno di una sedia più comoda; Ivan non ce la faceva più a togliere-mettere-togliere il suo secondo schermo dal nostro tavolo da pranzo. Cerca e ricerca abbiamo finalmente trovato lei: la casa in cui secondo me staremo per sempre, e in cui secondo Ivan staremo fino a quando non andremo a vivere in campagna.

Questa casa l’abbiamo presa subito: l’agente immobiliare stava ancora finendo la visita, noi ci siamo guardati e le abbiamo detto «guardi, va bene così, la prendiamo». Non solo era un affitto super conveniente, ma aveva la famosa stanza in più: quella che gli altri prendono per i bambini, e che noi stavamo prendendo per costruirci dentro il nostro ufficio. Un ufficio vero, con una porta che il sabato potevi chiudere dietro di te per poi riaprire il lunedì mattina, magari con il pigiama ancora addosso.

Il nostro ufficio in casa non lo dimenticherò mai: è stato il mio nido, la mia tana, il mio covo. Ho scritto un post in cui ho detto tutto quello che c’era da dire, tranne che è una delle stanze che ho amato di più tra tutte le stanze che ho abitato nella mia vita.

La fatica di dire addio

Un giorno Chiara di Houzz ha deciso di farci anche un servizio, sul nostro ufficio in casa. Quel giorno le abbiamo detto che aspettavamo un bambino, e che presto avremmo dovuto dire addio a quella stanza. Era bello che lei la stesse fotografando proprio in quel momento, così potevamo averne un ricordo.

Il mio primo pensiero razionale dopo il test di gravidanza positivo – passata la confusione, il giramento di testa, e se dobbiamo essere onesti anche lo spavento – è stato rivolto a quella stanza; la prima frase di senso compiuto che ho pronunciato io è stata «ci ruberà l’ufficio». Ivan mi ha guardata, ha sorriso e mi ha detto «sì, andrà così».

Penso che il mondo si divida in due categorie: quelli che possono lavorare a casa e quelli che non possono. Noi non solo possiamo, noi diamo il nostro meglio lavorando a casa. E non mi aspetto che l’altra metà del mondo capisca: chi è come noi sa benissimo di cosa parlo.

Ieri però è successa una cosa: abbiamo detto addio al nostro ufficio in casa, e l’abbiamo fatto con sollievo. È una cosa che è successa per gradi (prima abbiamo accorciato le scrivanie e spostato il letto in ufficio), e poi, ieri, tutta insieme: via i mobili, via gli oggetti, via tutto ciò che c’entra con il lavoro e non con noi tre.

La ricerca dello SpazioFigo

Come si passa da essere innamorati del proprio ufficio in casa a smontarlo tutto, imballarlo, caricarlo su un furgone? Lo si fa sapendo che presto arriverà uno spazio tutto per noi: lo stiamo cercando, non l’abbiamo ancora trovato, ma nel frattempo gli abbiamo già dato un nome. Si chiamerà SpazioFigo, come la nostra società.

Abbiamo tanti progetti per lo SpazioFigo, ma uno è più importante di tutti: vogliamo passare dall’ufficio in casa all’ufficio come a casa. Quindi, per dirne una, nello SpazioFigo ci sarà una cucina: una cosa che rende la ricerca incredibilmente più lunga ma anche più divertente, dato che abbiamo coinvolto lei. Siamo cresciuti ed è ora di cambiare, ma non per questo rinunceremo a quella sensazione di nido, di tana, di covo.

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