Quattro percento

Lavorare sapendo che una parte di ciò che guadagni aiuterà qualcuno è bello. Farlo e dichiararlo è ancora meglio: è prendersi un impegno.

beneficenza

Sono stata molto indecisa se scrivere oppure no questo post. Poi ho deciso di farlo perché ho voglia di dire tre cose.

La prima è che questa mattina sono stata a Casa UGI. Chi è di Torino ce l’ha sicuramente presente: è quell’edificio basso e lungo che si trova vicino a Italia 61, nella zona degli ospedali. Chi non è di Torino si immagini un posto bello, luminoso, con grandi finestre che danno sul Parco del Valentino, sul Po e sulle colline. Casa UGI ospita le famiglie di bambini e ragazzi affetti da malattie tumorali. Vuol dire che se tuo figlio è in cura presso l’ospedale Regina Margherita e tu abiti fuori Torino puoi stare in uno dei 22 appartamenti di Casa UGI per tutto il tempo delle terapie (che possono durare 2 mesi o anche 2 anni). A casa UGI si sta gratis perché ci sono i volontari, le raccolte fondi, le donazioni.

Seconda cosa. La beneficenza in Italia è una di quelle cose che «si fa ma non si dice». Io invece ho deciso di dirlo, pur tra mille dubbi, e anche a rischio di sembrare vanitosa. Lo sto facendo per un motivo: è chiaro che versare il 4% del mio fatturato a Casa UGI è dargli delle briciole, si tratta di una somma ridicola. Ma questa mattina, quando ero lì, mi è stata detta una frase: l’aiuto più grande che posso dare a Casa UGI non è tanto raccogliere dei soldi, ma parlarne mentre lo faccio. Dire che loro esistono, contribuire ad allargare la loro rete di contatti, fare sapere cosa c’è dentro quell’edificio basso e lungo vicino a Italia 61.

Terza e ultima cosa. Lavorare sapendo che una parte di ciò che guadagni aiuterà qualcuno è bello. È come lavorare in squadra: a me dà una motivazione fortissima, ha una ricaduta positiva sul mio lavoro, lo consiglio a tutti. Farlo e dichiararlo è ancora meglio: è prendersi un impegno.

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