Mi capita spesso di rispondere a email che contengono questa domanda: «vorrei fare il master in digital marketing dell’ente tal dei tali, me lo consigli?»
Non ho la pretesa di rispondere sulla qualità di tutti i corsi là fuori, ma quello che posso fare è condividere il ragionamento che faccio io nel momento in cui incontro sulla mia strada un corso, e devo decidere se fa per me oppure no.
Qual è il suo approccio?
La prima cosa che faccio quando incrocio un corso che potenzialmente mi può interessare è cercare online il nome del docente: anche se il corso è tenuto da un’ente/un’università/un’organizzazione di qualunque tipo, il corso è comunque e sempre tenuto da una persona (o più di una), ed è quella persona che più di ogni altra cosa mi interessa conoscere.
Questa cosa di cercare il nome secondo me bisogna farla ancora prima di guardare il programma del corso. Quello che vuoi trovare, quando cerchi il nome di questa persona online, è un’informazione ben precisa: qual è il suo approccio alla materia.
Non ti stai per iscrivere alle Scuole Medie dove rifarai ogni materia dalla preistoria a oggi, di sicuro il corso che stai per fare è breve: va da un minimo di tre ore a un massimo di 20, diciamo? Bene, il modo migliore per imparare qualcosa in quelle poche ore di formazione è trovare un insegnante che ha un approccio chiaro e che ha la consapevolezza di dover usare quello spazio e quel tempo per parlarti non di quella materia in modo enciclopedico – ma del suo approccio a quella materia.
È chiara la differenza, no? Da una parte ci sono i formatori che hanno un metodo e che hanno voglia di condividerlo per permetterti di metterlo in discussione, prendendosi la responsabilità di tagliare fuori tutto quello che non c’entra, e che lo fanno dichiarandolo, per dirti solo ciò che secondo loro è importante. Dall’altra ci sono i formatori che ogni volta che parlano di qualcosa devono partire da Adamo ed Eva, per completezza, ma che alla fine in quella completezza e in quella neutralità rischiano di farti annegare.
Come si fa a capire se uno ha un approccio e se ha voglia di condividerlo? Si cercano tracce di quell’approccio online, si cercano le sue opinioni, i suoi modi di vedere. Lo dicono (come spesso succede) meglio gli inglesi: l’approccio qui per me è his take on. Il suo modo di toccare la materia che sta per insegnarti, il suo modo di prenderla, affrontarla, lavorarci per trasformarla in qualcos’altro. Ecco, prima di comprare un corso secondo me bisogna assicurarsi che la persona che te lo sta per fornire ce l’abbia, questo personale modo di vedere le cose.
Detta in altre parole: internet è piena di tutorial gratis: perché devi pagare qualcuno per avere un tutorial, delle istruzioni senza anima né cuore? Cerca qualcuno che abbia visione, metodo. Che sappia condividere non solo le tattiche, ma anche la strategia, per permetterti di vivisezionarla e metterla in discussione.
Non mi voglio sentire sopraffatta
In questa ricerca spesso escono fuori quelli che io chiamo «i maschi alfa» della formazione, che non sono necessariamente uomini: sono formatrici e formatori intenzionati a farti capire che loro ne sanno un sacco. Usano termini difficili senza tradurli, ti consegnano dispense che sembrano enciclopedie, ti fanno sentire un po’ scemo, al punto che ti vergogni a fare una domanda. Al punto che non ti senti all’altezza. (Ma non eri lì per imparare? È ovvio che non sei ancora a quell’altezza lì, ci stai lavorando!)
I termini difficili e il sentirsi scemi sono soggettivi: se un tizio per me è un maschio alfa non è detto che lo sia anche per te. Ma se un formatore è tutto preso dal trasmettere il fatto che lui ha delle competenze difficilmente riuscirà, in contemporanea, a preoccuparsi di trasmettere agli altri quelle stesse competenze: delle due l’una, non so se mi spiego.
Poi c’è chi ama leggere un blog o andare a un corso di formazione e uscire con in testa un sacco di termini difficili dal significato oscuro, ma questo è un altro discorso. Io non mi voglio sentire sopraffatta o in difetto perché non so qualcosa che sono lì per imparare, quindi i maschi alfa li taglio fuori dalle mie risorse.
E nemmeno appagata
Dall’altro lato dello spettro ci sono i formatori che ti fanno sentire appagata, in pace con te: tutto quello che fai è giusto, va bene tutto ma anche il suo contrario, sempre. Non ti contraddicono mai e tu non ti senti mai in difficoltà, e se vogliamo questo è molto accogliente da parte loro.
Il fatto è che io non mi voglio sentire sopraffatta, ma nemmeno appagata. Sono d’accordo sul fatto di proporre un metodo per poi accettare suoi eventuali stravolgimenti, sul fatto di lasciare aperta una porta a modifiche. Ma queste modifiche devono avvenire entro dei confini, che secondo me è responsabilità del formatore darti: del tipo «ecco qui questa scatola, smontala e rimontala come vuoi, ma prima capiamo insieme perché è costruita così, almeno quando la smonti sai cosa stai perdendo della struttura originale».
Il mio dubbio, quando mi trovo in situazioni del genere, è che a questo tipo di formatori non gliene freghi abbastanza: di te, o della materia che insegnano, o delle conseguenze concrete della formazione che stanno offrendo, o di tutte queste cose insieme. Altrimenti non gli andrebbe tutto bene: non sarebbe la stessa cosa fare oppure non fare quello che ti stanno proponendo, non ti lascerebbero montare la scatola al contrario senza prima averti avvertito sulle conseguenze, magari in modo un po’ netto, a volte spiacevole.
Ad esempio: io ho apprezzato quando Tatiana Cazzaro mi ha detto chiaramente quali erano i miei problemi durante uno speech e quando Valentina Masullo mi ha detto che dovevo abbandonare le foto in cui usavo il pluriball come sfondo. Mi hanno ferita nell’orgoglio? Un po’, sì: andavo tutta fiera della trovata del pluriball, e sentirmi dire cosa non funziona nel momento in cui faccio un discorso pubblico non è stato certo piacevole. Non credo siano state conversazioni particolarmente facili nemmeno per loro che le hanno iniziate, ma credo che ci tenessero, e quindi hanno deciso di fare il loro lavoro.
Come li scovi i formatori appaganti? È difficile capire chi sono prima di comprare il corso, molto probabilmente lo scoprirai in aula, quando ti accorgerai non stai imparando niente. Pazienza, ormai è andata così.
Voglio sentirmi inquieta
Il mio ideale, quando faccio un corso (in classe, online, scritto o solo audio) è finirlo sentendomi inquieta. Quel tipo di inquietudine bella che ti porta a prendere subito un quaderno, buttare giù mille idee. Ma anche quel tipo di inquietudine scomoda che ti fa pensare di dover mettere in discussione tutto, o una sua buona parte, che ti fa pensare che hai sbagliato qualcosa e che qualcosa deve cambiare (non è detto che tu sappia subito che cosa, l’importante ora è mettersi in ricerca per capirlo).
I corsi che mi piacciono (e che voglio offrire) sono quelli che ti sfidano: che ti dicono delle cose magari un po’ scomode, o un po’ difficili, ma non lo fanno per metterti in difficoltà. Lo fanno per farti fare un salto che da solo non avresti mai fatto. Per ispirarti a un cambiamento che magari è faticoso, ma che dopo il corso ti sentirai motivato a fare.
Un corso affidabile non è risolutivo: apre finestre, butta giù muri, ti fa intravedere una direzione verso cui andare – ma non ti ci porta di peso. Di strada da fare ce n’è tanta, e la farai da solo, a corso concluso, e va bene così: perché un buon corso ti ha messo nello zaino tutta l’attrezzatura che ti serve per affrontare la strada.