All’inizio dell’estate ho concluso il lavoro per Zandegù: Marianna e Marco mi avevano chiesto se potevo aiutarli a studiare una strategia di marketing online, io gli ho detto sì, e per due mesi – quasi tre – abbiamo lavorato a quello che sarebbe diventato il loro nuovo modo di comunicare online.
Mi è venuta voglia di raccontare questo lavoro perché le strategie di comunicazione non si vedono, si sentono solo. E in questo post ci sono alcune delle cose su cui ho lavorato perché la strategia di Zandegù si sentisse nel modo giusto: perché dicesse ciò che serviva, e non altro.
Prima di iniziare: avevo intenzione di avvisare Marianna e Marco di questo post, ma loro mi hanno anticipata scrivendomi la stessa cosa, e cioè «abbiamo voglia di parlare di questo lavoro». Quanto a Ivan, che la settimana scorsa ha ufficialmente chiuso i lavori mettendo online il loro nuovo sito, lui il post di chiusura lo scrive sempre.
Quindi eccoli qui, se avete tempo, i tre post da leggere per sapere tutto su cosa c’è dietro un lavoro di restyling che chiamare restyling è quantomeno riduttivo: quello su perché Zandegù ha deciso di impegnarsi in questa avventura, il mio sulla strategia, e infine quello di Ivan su perché il sito è fatto così. E sì: questo è il posto dove ci diamo delle gran pacche sulle spalle, perché è bello fermarsi e dire «guarda che figo», soprattutto al termine di un lavoro impegnativo.
Capire se ne vale la pena
Una strategia di marketing online costa cara. In questo momento io la faccio pagare a partire da 2500€, ma spesso posso chiedere di più: è un lavoro che mi impegna tanto. E non parlo solo di ore, ma del fatto di portare a casa i problemi del tuo cliente, farli tuoi, e capire come risolverli. Quindi deve valerne la pena, sia per me che per loro – e infatti spesso mi capita di dire «no, piuttosto prendi un corso, inizia da lì, poi vediamo». Marianna e Marco dicevano di sentirsi impantanati, di non capire cosa stava funzionando e cosa no, di avere bisogno di un confronto: ecco, una strategia serve proprio a questo. Quindi siamo partiti, e lo abbiamo fatto cominciando dalle basi.
Organizzare i prodotti
Le basi sono i prodotti. Sembra scontato, ma questo è il punto in cui si arenano molti lavori: fino a quando non riesci a guardare i tuoi prodotti in faccia non puoi prendere decisioni. In questo caso i prodotti (ebook e corsi) c’erano, e non solo potevamo guardarli in faccia, ma potevamo analizzare tutti i dati raccolti in tre anni di attività (quando il prodotto è nuovo, invece, trovo particolarmente utile l’intervista ai potenziali clienti).
Sono emersi quasi subito tre problemi:
- Marianna e Marco non avevano chiaro il target dei loro corsi: fino a quel momento si erano mossi secondo un’impressione che invece l’analisi dei dati smentiva parzialmente. Bisognava modificare l’offerta.
- La suddivisione dei corsi in «corsi brevi» e «corsi lunghi» non era efficace per parlare con il target: funzionava come classificazione ad uso interno, ma bisognava trovare un nuovo modo di presentare i corsi, magari tematico e non di durata.
- C’era bisogno di creare dei percorsi trasversali: è qualcosa che alcuni iscritti chiedevano e altri stavano già facendo per conto loro.
Alla fine della prima fase abbiamo capito che il target dei corsi era rappresentato da due tipi di persone, con bisogni diversi ma complementari. Abbiamo fatto un disegno di queste persone, gli abbiamo dato un nome (Fabio e Cinzia), e a quel punto risolvere il secondo problema è stato facile: le due categorie di corsi dovevano chiamarsi «scrivo» e «mi aggiorno» – proprio come i bisogni di Fabio e di Cinzia. Anche per i nomi dei percorsi («scrivo una storia», «apro un sito», eccetera) abbiamo seguito lo stesso criterio, e cioè mettere i bisogni del nostro target in primo piano.
La mission (e la concorrenza)
Il quarto problema era che Zandegù è un rivenditore di servizi che potrebbero essere comprati anche altrove. E qui non parlo degli ovvi e numerosi competitor, ma di una concorrenza più vicina, più pericolosa, meno visibile: nel momento in cui Zandegù commissiona un corso a un docente, il docente stesso è potenzialmente un competitor, perché può somministrare il corso per i fatti suoi (e in buona fede, mica perché è cattivo).
Quindi comprare i corsi da Zandegù (e non altrove) deve avere un valore – che abbiamo deciso di raccontare in molti modi diversi, ma sempre partendo dalle cose più importanti: prima tra tutte il why (come dice Simon Sinek). Il why di Zandegù doveva essere abbastanza ampio da comprendere sia i corsi sia i libri, ma anche diretto e coinvolgente, proprio come sono loro. Doveva riassumere tutto quello che c’è stato fino a qui, e doveva tracciare la direzione per il futuro. Con i disegni di Fabio e di Cinzia sotto al naso abbiamo capito che la missione di Zandegù è sempre stata «tirare i sogni fuori dai cassetti».
Se sei Fabio oppure Cinzia, però, non vuoi che sia il logo di un’azienda a tirare il tuo sogno fuori dal cassetto. Tanto per cominciare un’azienda non ha le mani. E poi figurati, cosa vuoi che ne sappia di sogni. Marianna e Marco invece di sogni ne sanno un sacco, e ora possono anche dimostrarlo: basta leggere il loro nuovo manifesto, o la pagina «chi siamo». O anche solo, se sei di fretta, guardare la foto in home page, che infatti non è lì per caso.
I risultati
Parlare di risultati a due mesi dalla fine dei lavori è prematuro. Ma le prime cose si sono già mosse. La reach organica dei post della Pagina Facebook, tanto per cominciare, che nonostante la fiacca di agosto è passata da una media di 18% a una media di 50%, e che grazie al nuovo piano editoriale continua a crescere.
Come al solito però i numeri contano fino a un certo punto. Quello che conta è la percezione, sia all’esterno che all’interno: è ciò che la strategia fa sentire, come dicevo, a te e ai clienti. Marianna e Marco ora si sentono più sicuri di sé, prendono decisioni più velocemente, procedono con il passo di chi sa com’è fatta la strada da percorrere. Il blog è rinato, la newsletter fiorisce. Da fuori l’accoglienza è molto buona: come dicevo è presto per parlare, ma ci sono tutte le premesse per fare ciò che conta di più – e cioè fare affezionare le persone, anche quelle che non ti conoscono. Questa è la cosa più difficile, tutto il resto viene da sé, e secondo me ci stiamo riuscendo.