Elogiare l’altrove

È la scusa perfetta per sottrarsi alle proprie responsabilità, per non dare il proprio contributo proprio qui, proprio ora.

elogiare l'altrove

Sabato sera sono scesa dal treno e ho camminato per un bel pezzo dietro a tre persone. Si lamentavano del fatto che l’Italia non è un posto civile, ed elogiavano la Svizzera e la Germania che invece lo sono. Mi ha ricordato di quando ero in Danimarca e al binario un signore commentava il ritardo del treno dicendo «questo Paese va a rotoli, mi ricordo come era una volta, invece adesso non c’è più ritegno». E infatti gli italiani, ma pure i tedeschi e i francesi e tutti gli altri che abitavano a Copenhagen si lamentavano in abbondanza di tutti i problemi che c’erano lì, e che altrove invece no.

Poi i tre signori sono saliti con me sul bus, non avevano il biglietto ma pazienza, «tanto a quest’ora il controllore non passa».

Tendiamo a descrivere la civiltà come uno stato delle cose che riguarda «l’altrove»: un posto dove noi non siamo, su cui non possiamo influire, ma in cui ci piacerebbe stare.

Nel posto dove siamo e su cui potremmo influire, invece, non ci vorremmo essere, e ce ne lamentiamo: «i marciapiedi qui sono sempre sporchi», «nessuno paga le tasse», «le persone su Facebook passano il tempo a criticare»: è sempre responsabilità di altri – noi apparentemente possiamo solo lamentarci, e non ci accorgiamo che proprio mentre ci lamentiamo contribuiamo a creare quell’inciviltà che non sopportiamo.

Elogiare l’altrove è la scusa perfetta per sottrarsi alle proprie responsabilità, per non dare il proprio contributo proprio qui, proprio ora.

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