Sei anni di partita iva, e due consigli che mi darei oggi

Il discorso sui soldi rischia di essere l'unico che si affronta quando si parla del mettersi in proprio

In questo periodo cade il mio anniversario da lavoratrice in proprio: sei anni fa, ad aprile del 2012, entravo nell’ufficio della mia datrice di lavoro e le dicevo «non sei tu, sono io». A giugno dello stesso anno dopo due mesi di ricevute per prestazioni occasionali aprivo partita iva ed emettevo la mia prima fattura.

Dico spesso che lavorare in proprio non fa per tutti, che il lavoro in proprio non è la versione “libera e felice” del lavoro da dipendente, che sono due mondi diversi e non è detto che puoi vivere in entrambi. Ma faceva per me? Diciamo che a forza di testate l’ho fatto funzionare. E che se tornassi indietro mi darei un paio di consigli per prenderne meno, di quelle testate.

Le informazioni che avevo

Prima di lasciare un lavoro relativamente sicuro e mettermi in proprio ho fatto ricerca: ho parlato con un commercialista e con chi aveva partita iva da qualche anno, mi sono fatta dare ottimi consigli, mi sono fatta dire quali erano i vantaggi e gli svantaggi di aprire partita iva.

Dopo questo giro di consultazioni le due informazioni che avevo raccolto riguardavano i soldi:

  • quanto doveva costare a grandi linee il lavoro che avrei fatto: un non meno di, diciamo. È stata Giovanna Gallo a darmi questa preziosa informazione: un pomeriggio mi ha concesso un caffè in centro a Torino, e non credo lo sappia, ma per me lei è stata un generoso faro in un momento di forte indecisione. In quel momento ho deciso che anche io avrei condiviso, a modo mio, tutte le informazioni utili che avrei avuto da lì in poi.
  • Quanto potevano arrivare in ritardo i pagamenti, e come potevo fare per sollecitarli: diverse persone mi avevano detto quanto fosse faticoso non avere delle entrate mensili fisse, e quanto fosse importante adattarsi a questa oscillazione del proprio conto in banca. In quel momento ho deciso che avrei messo via la metà di quello che mi entrava, in modo da avere una piccola cassa a cui attingere in caso di bisogno.

Più cose su come ho cominciato sono qui. È importante, visto che si parla di soldi, scendere nel dettaglio. In quel momento avevo sul conto circa 2000 €, una stanza singola in affitto all’interno di un appartamento condiviso (per cui pagavo circa 400 € al mese), le normali spese quotidiane più qualche extra (i viaggi, la psicoterapia). Vivevo da sola da un po’ e non ero intenzionata a rinunciare a un briciolo di quella libertà che derivava al 100% da potermi pagare da sola tutte le mie spese.

Le informazioni che avrei voluto avere

Il discorso sui soldi rischia di essere l’unico che si affronta quando si parla del mettersi in proprio. È una fetta fondamentale della questione, perché è anche la più pratica: se i soldi entrano ce la fai, se i soldi non entrano non ce la fai. Su questo non c’è dubbio, è importante farsi bene i conti.

Quello di cui secondo me si parla troppo poco è il resto: se concentrarsi sui soldi è importante, è altrettanto importante sapere che a parlare solo di quelli si rischia di essere tutti presi dalla gestione pratica, dimenticando le altre parti del discorso. Sono quelle le parti che, a lungo termine, secondo me sono più determinanti.

Le informazioni che avrei voluto avere quando ho aperto, che non ho avuto per mancanza di tempo o di conversazioni più approfondite, ma che avrebbero fatto per me la differenza sono proprio quelle: quelle che si staccano dalla gestione quotidiana per concentrarsi sulla mentalità.

E in particolare sulla mentalità che ci vuole quando hai una partita iva, vuoi fare le cose per bene, ma le cose stanno andando male. Le riassumo qui, e le spiego meglio nel video che ho pubblicato sul mio canale YouTube:

  1. Avere il coraggio di guardare quello che c’è per com’è, e di stare con quello sguardo che si posa sulla realtà. Che per me vuol dire due cose: la prima è non farsi prendere dalla paura – che spesso non ti permette di guardare, o peggio, ti fa costruire una realtà parallela in cui ti convinci di vivere – la seconda è non avere fretta di reagire, e, appunto, avere il coraggio di stare. Anche perché prima di reagire bisogna avere bene chiaro il quadro: altrimenti a che cosa stai reagendo, di grazia?
  2. Prendersi la responsabilità della delusione che potrebbe derivare da quello sguardo che si posa sulla realtà; non avere fretta di cercare un colpevole, non puntare il dito, non tirare in ballo la sfiga, non sprecare le proprie energie a odiare tutti gli agenti avversi che ti hanno procurato quella delusione. È andata male? Peccato. Vediamo qual è la mia responsabilità, così la prossima volta posso fare meglio.

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