Stavo per rinviare l’uscita del video di questa settimana perché non avevo avuto i miei soliti tre giorni di tempo tra il momento in cui lo giro e il momento in cui esce. Poi mi sono detta che non avere tempo non è una scusa, così ho girato comunque il video, anche all’ultimo, anche senza averlo preparato. E – proprio a causa della mancanza di tempo – sono stata costretta a creare un nuovo tipo di contenuto. È nuovo per me, non in generale (anzi, è lo stratagemma “riempi-pagine” più vecchio del mondo).
Questa mancanza di tempo e questo sforzarsi comunque di rispettare il ritmo che ho stabilito mi ha fatta riflettere e mi ha insegnato parecchie cose. Andiamo con ordine.
Lavorare sempre
Quando Ivan ed io abbiamo varcato la soglia del nostro ufficio in casa (il primo degno di questo nome) ci siamo accorti di come fosse bello poter decidere di non lavorare. Non che prima di quel momento fossimo obbligati a lavorare sempre, ma dato che potevamo farlo, che ogni momento era buono per lavorare, finivamo per essere sempre nei dintorni del lavoro, anche fisicamente.
Con l’ufficio in casa e l’introduzione della sua porta – che chiudeva fuori dalle nostre vite i nostri lavori, anche solo per un fine settimana – era diventata evidente una cosa: se volevamo potevamo decidere di non frequentare il nostro lavoro. E quando riuscivamo a farlo, quando riuscivamo davvero a chiudere la porta per tutto il fine settimana, i giorni che stavano a ridosso della chiusura della porta diventavano più produttivi: staccare dal lavoro aiutava a lavorare meglio, poterlo frequentare senza vincoli di orario, invece, diluiva le ore produttive e allungava i tempi. Se ci davamo più tempo per lavorare, ci davamo anche più tempo da sprecare. Avevamo scoperto l’acqua calda.
Ironicamente con l’arrivo dell’ufficio in casa era iniziato anche il mio anno funesto, quello in cui non avrei avuto un week end libero da gennaio a giugno. Nel momento stesso in cui mi accorgevo che potevo decidere di non lavorare, mi toglievo questa possibilità da sotto il naso e – quasi senza accorgermene – inanellavo nel mio calendario un impegno dopo l’altro. Per tutta la primavera del 2015 non ho avuto un momento di respiro: era tutto lavoro-lavoro-lavoro, e paradossalmente più il lavoro si prendeva il mio tempo, meno riuscivo a gestirlo. Era un continuo rincorrere gli arretrati.
La giornata di quattro ore
Un anno fa leggevo un articolo che parlava della giornata lavorativa di quattro ore, che tra l’altro diceva di come Darwin lavorasse poche ore proprio perché non voleva sprecare il suo tempo:
«It’s not that Darwin was careless or lacked ambition. He was intensely conscious of time and, despite being a gentleman of means, felt that he had none to waste.»
Il mio orario lavorativo si era improvvisamente ristretto in seguito alla nascita di Cecilia: da «lavoro quando mi pare» ero passata a un modello di quattro-cinque ore al giorno, e mentre lo combattevo con tutta me stessa cercavo di convincermi che si poteva fare: se funzionava per Darwin magari funziona anche per me.
Un anno dopo sono qui a tirare le somme su quel modello che mi sono ritrovata a dover frequentare: com’è andata?
Lavorare poco è meglio?
Da circa un anno a mia settimana è fatta di giorni in cui lavoro quattro-cinque ore e giorni in cui ne lavoro sette. Raramente arrivo a otto ore al giorno: quando lo faccio mi tocca compensare il giorno dopo.
Ecco cosa ho scoperto in questo anno:
- se ho poco tempo sono più produttiva e più concentrata.
- Se ho poco tempo riesco a capire più facilmente quali sono le attività importanti e quali sono le perdite di tempo: nell’ultimo anno ho eliminato tutte le attività solo apparentemente importanti, e l’ho fatto con grossa facilità; prima per scegliere cosa mollare mi agitavo tantissimo.
- Sono quel tipo di persona che lavora meglio se c’è una scadenza all’orizzonte. Se non ci sono scadenze, ho scoperto, me le devo dare io: altrimenti entro in un loop in cui mi affanno e contemporaneamente non concludo nulla.
- Avere poco tempo mi aiuta a capire quali sono i miei confini: sia in termini di lavori che posso fare e lavori che non posso fare, sia in termini di relazioni con colleghi, clienti, fornitori. In altri termini: mi aiuta a dire «no» con più serenità.
- Tutto questo fa sì che la mia creatività si sia messa a servizio del mio obiettivo di quest’anno, e non il contrario: stabilire un obiettivo «figo» ma poco concreto è un rischio che ho corso spesso, e che secondo me corrono tutte le persone creative. Sapere di non aver tempo da perdere mi ha aiutata a ristabilire la gerarchia necessaria tra fine e mezzi, dove i secondi sono a servizio del primo, e non il contrario.
[…] non ho mai tempo. Enrica ha fatto un bel video sul tema del non avere tempo e ci ha scritto anche un post. Dico che non ho mai tempo per leggere e di solito recupero d’estate. Ma quando mi riduco a […]