Marketing: 7 trend per il 2019

Il post in cui dico dove stiamo andando, secondo me.

Mi sono sempre chiesta come si fa a scrivere un post che prevede dei trend per l’anno a venire. Bisogna essere sensitivi? Avere costosi strumenti di analisi? Leggere tanto e poi prendere le idee un po’ qui e un po’ là? Se per la moda esistono le sfilate (le guardi e poi tracci le linee guida per la prossima stagione) per il marketing non è così (ci sono i dati di uso e di crescita dei vari strumenti, ma riguardano il passato, non il futuro). Quando in una materia c’è così poco di oggettivo si rischia di cavalcare l’onda dell’istinto, o peggio ancora di credere che ciò che succede nella propria bolla sia universalmente valido, due cose che mi terrorizzano.

Così mi sono detta: l’unico modo per scoprire come si fa è provare a farlo. Quindi eccomi qui, a scoprire che per scrivere un post del genere si possono adottare vari criteri, che questi criteri sono soggettivi, che secondo me è importante dichiararli. Questi sono quelli che ho scelto io:

  • ho rintracciato le cose che in Italia hanno iniziato a succedere in modo più diffuso quest’anno, che altrove succedono già da un pezzo e che – si può affermare con una certa sicurezza – sono appena all’inizio, non hanno ancora espresso tutta la loro portata (ad esempio: ascoltare i podcast);
  • ho scelto alcune cose che qui ancora non si vedono ma altrove hanno una grossa portata, quindi – dato che spesso mercati come gli USA sono osservatori per capire cosa succederà da noi – si può supporre che arriveranno a stretto giro;
  • ho tenuto conto del clima politico ed economico e delle enormi influenze che ha sul modo in cui ci comportiamo, sulle scelte che facciamo, sui temi che preferiamo e che detestiamo. Questo criterio ha un grosso asterisco: di questa analisi ho scelto il lato che preferisco. Come dire: è vero che c’è un grosso ritorno di comportamenti fascisti e razzisti, ma io preferisco dedicarmi all’attenzione ai temi dell’inclusione che si sviluppa in tutta risposta e che ha bisogno che tutti noi le diamo fiato e attenzione (anche nel nostro marketing) perché purtroppo la rabbia e l’odio sono enormi collanti.

Quindi ecco le cose che vedo succedere nel 2019; alcune sono cose che esistono e di cui dobbiamo prendere atto, di altre sono contenta, in generale l’approccio è: non è che ora ci mettiamo tutti a parlare degli stessi argomenti o a fare le stesse robe, ognuno sceglie poi come muoversi in un contesto che però come minimo deve conoscere.

Minimalismo e sostenibilità

Il contesto

Se avete assistito alla trasmissione a reti unificate della festa di Fedez sapete dello spreco alimentare, della valanga di commenti negativi che questa mancanza di rispetto per lattughe, panettoni, generi alimentari vari ha causato e del modo in cui nessuno ha creduto alla storia del «poi doniamo tutto in beneficienza» (che infatti era un’idea dell’ultimo minuto saltata fuori durante un brief con la Ferragni).

Quello che è successo era prevedibile e se Carrefour avesse avuto uno sguardo più attento avrebbe potuto evitare il colpo, per due motivi, uno più locale e l’altro internazionale:

  1. crisi economica e clima politico italiano: non ci andavano doti da veggente per capire che l’immagine di gente che fa festa in un supermercato e di conseguenza butta via del cibo è un’enorme miccia – lo è sempre, ma lo diventa ancora di più in un momento in cui il clima politico è incerto e più di mezza Italia pensa di essere stata derubata di qualcosa da qualcuno.
  2. trend del minimalismo: non siamo negli anni Novanta, il consumo smisurato non è più cool. Ora è cool farsi la birra, lo yogurt e l’aceto in casa, avere l’orto sul balcone, fare a maglia, comprare brand sostenibili e conscious (qualunque cosa voglia dire, cara H&M). Questo non vuol dire che il lusso non piace – citofonare Kardashian – ma che il concetto di avere meno per avere di più è finalmente diventato un tema pop, che «ridurre e riusare» sono parole usate anche fuori dal gruppo di consumo critico che si vede ogni giovedì sera in oratorio.

Cosa fare

Cosa può fare il marketing di una micro azienda per abbracciare il trend del minimalismo? Tanto per cominciare può decidere se a questo tema ci crede oppure no, perché è inutile abbracciare una cosa in cui non credi, si capisce subito che stai facendo finta. Se non ci credi puoi limitarti a prenderne atto e a non fare passi falsi. Eventualmente puoi decidere di aprirti alla regola «meno e meglio» e applicarla a vari livelli e con diversi gradi di intensità:

  • meno contenuti, più approfonditi
  • meno prodotti/servizi, offerta meno vasta ma più sensata e significativa
  • meno canali di comunicazione, ma usati in modo migliore
  • meno lanci e meno novità, più riuso e valorizzazione dell’esistente
  • meno invio prodotti a caso e meno superficialità nell’influencer marketing, più coinvolgimento di realtà costruttive e attente al pianeta (ad esempio se io volessi fare bella figura in questo momento farei una partnership con Contiamoci)
  • (e dall’altro lato della medaglia) meno collaborazioni con aziende di dubbia etica, meno sponsorizzazioni pagate due lire, meno codici sconto che portano all’acquisto di prodotti in cui non credi.

L’anno dei podcast

Il contesto

Il 2018 non è stata una buona annata per Facebook. In USA ha perso l’8% nelle statistiche che mostrano quante persone usano effettivamente il social – è un dato importante perché rappresenta una grossa retromarcia, nel giro di un solo anno è tornato alla media del 2015. In Europa si è registrato un calo sia degli utenti giornalieri (-3 milioni) che mensili (-1 milione). È la prima volta che succede nella sua storia, e tutti gli indicatori mostrano che si tratta di un calo irreversibile.

Mentre gli under 35 in Italia usavano Facebook sempre meno si è iniziato sempre di più a sentire parlare di podcast come fonte di informazioni non sottoposte alle selezioni di un algoritmo.

C’è questa chiacchierata tra Euan Semple e Paolo Valdemartin che collega direttamente i due fenomeni: da una parte la frustrazione per il feed di Facebook che non ti fa vedere ciò che vorresti, dall’altra la ricerca di formati e fonti alternative, tra cui spunta quello audio. E che i podcast stanno diventando pop lo conferma il fatto che anche testate non particolarmente tech come La Stampa hanno iniziato a interessarsene, vedi il canale Postlast.

Cosa fare

Quando si apre un nuovo canale la domanda da farsi è sempre la stessa – e non è quella che state pensando: questo canale c’entra con la mia strategia? (E non: ma se lo apro come faccio ad avere la certezza che mi seguiranno?).

Io consiglio di non buttarsi nel mondo del podcasting (così come nel mondo dei video o di qualunque altra cosa) prima di essersi chiariti le idee su cosa c’è già e su che cosa possiamo dare noi. Ascoltare podcast è un buon modo per iniziare a chiarirsi le idee, qui c’è la lista delle mie puntate preferite.

In nome dell’autenticità

Il contesto

Il concetto di essere veri, di non recitare, di mostrare il lato buono, sì, ma ogni tanto nominare pure quello difettoso è, in teoria, in voga da sempre. Tutti pensiamo che essere autentici sia meglio rispetto a mentire, è un valore universale. È l’applicazione di questo valore che ha iniziato a cambiare, a spostarsi sempre più da suggerimento a norma, fino a trasformarsi in un movimento: in nome dell’autenticità nascono contenuti – e hashtag di riferimento – che fino a poco fa non avremmo creduto interessanti e che ora stanno prendendo sempre più forma e voce.

A volte è una voce rabbiosa: solo tre anni fa nessuno si sarebbe sentito attaccato dal buongiorno (con finto-risveglio) di Scarlett London nel post per Listerine. Ora a quanto pare questa foto innocua diventa invece minacciosa per molte persone, offensiva addirittura. Il problema è proprio il fatto che è finta, che il risveglio è inscenato.

La “morning routine” a cui Scarlett rimanda qui (un video in cui la protagonista si sveglia e mostra quali sono i passaggi che ogni mattina compie prima di uscire di casa) è un genere affermato su YouTube; esistono decine di migliaia di video simili a questo, che mostrano più o meno gli stessi passaggi con lo stesso grado di finzione. È un genere che ha sempre funzionato, fino a quando – prima lentamente poi di colpo – non ha funzionato più.

Cosa fare

Il fatto che le persone si arrabbino in massa per la mancanza di autenticità è nuovo, Scarlett è solo uno degli esempi possibili, ed è un fatto che interessa tutti noi che produciamo contenuti perché questa ondata che si muove in nome dell’autenticità ha appena bussato alle nostre porte, ed è qui per rimanere.

Nel 2019 tutto ciò che è inscenato e palesemente finto è destinato ad essere letto come ridicolo, fake, addirittura offensivo – specialmente se a inscenarlo è un’azienda. È un’ondata che al minimo dichiara guerra all’approccio “griglia” di Instagram (cioè quell’attenzione a costruire una sequenza ordinata di foto, quasi si stesse impaginando un libro, che costringe a scattare tutto in anticipo come in un photoshoot o a decidere se pubblicare qualcosa o meno a seconda di come si abbina alle foto scattate in precedenza) e che se decidiamo di abbracciarla ci chiede di mostrarci senza veli, vulnerabili. Si tratta di una bella sfida per tutti: speriamo di riuscire a coglierla senza sconfinare nell’oversharing.

Diversi e inclusivi

Il contesto

Il grosso fallimento del lancio di Bounce, il primo fondotinta del marchio di spugne per il trucco Beauty Blender, è stato un mix di poca cura e di bad timing: se prima era (inspiegabilmente) accettabile ignorare l’enorme varietà di colori di pelle presente sul pianeta Terra da qui in poi non ti puoi permettere di lanciare 45 tonalità di fondotinta di cui più della metà rivolte al microscopico mercato delle carnagioni bianche.

L’attivismo online – #blacklivesmatter e #metoo, per fare due esempi – ha (per fortuna!) conseguenze reali sul nostro modo di consumare prodotti e contenuti. In un momento in cui molti cercano di alzare muri e di dire che ci sono esseri umani che valgono più di altri, altri iniziano ad averne le scatole piene di essere esclusi: siamo tanti, tutti diversi, indossiamo tante taglie, siamo di tanti colori, abbiamo forme diverse e meritiamo – tutti – di essere presi in considerazione.

Cosa fare

Questo vuol dire che se produci abbigliamento non è più accettabile proporre solo taglie da campionario o vederlo indossato (nell’ecommerce, su Instagram, eccetera) solo da taglie piccole. Vuol dire che se ti occupi della cura dei capelli e della pelle devi prendere in considerazione che ci sono colori e texture diverse dalla tua.

Lo so: proporre più taglie e fare più foto è uno sbatti. Ma se hai scelto di lavorare per le persone e per i loro corpi devi farti una domanda (e prenderti la responsabilità della risposta che darai): mi interessa, nel mio piccolo, creare un mondo più inclusivo?

Più acquisti online

Il contesto

In Italia l’ecommerce cresce. È un’ottima notizia, ma le aspettative di chi compra aumentano di pari passo e non è detto che le microaziende riescano a offrire condizioni competitive in questo campo. Ad esempio Amazon offre Prime Wardrobe, che funziona così: scegli cosa provare, la merce ti viene consegnata a casa, paghi solo ciò che tieni e il resto lo rimandi indietro – in altre parole non esegui una transazione fino a quando non sei sicuro.

I clienti faticano a capire che gli ecommerce sono affidabili e che le carte di credito non sono creature da rinchiudere nel doppiofondo del guardaroba, ma quando lo capiscono fanno in fretta ad abituarsi a servizi vantaggiosi come la spedizione gratis e il “prova prima di pagare”; se uno ha un ecommerce nel 2019 farebbe bene ad attrezzarsi per competere.

Cosa fare

Una microazienda fatica a offrire reso gratis, spedizione gratis, pagamento solo quando ci si è decisi su cosa tenere, ma può competere offrendo altri tipi di servizio. Dove la parola chiave è proprio servizio, tipo:

  • dirmi qual è la crema giusta per la mia pelle – e dirmelo non in una scheda prodotto, ma in una chat, dove io confesso che non so che tipo di pelle ho, ma che in inverno è «un po’ spenta» e una volta al mese mi riempio di brufoletti.
  • Insegnarmi a prendere le misure prima di acquistare una gonna, in un webinar al mese (registrato, ma con la possibilità di interagire in diretta in chat) per rispondere a tutti i dubbi frequenti in modo pratico.
  • Suggerirmi come abbinare le scarpe artigianali uniche e costose con i vestiti che con ogni probabilità ho già in casa, in un pratico video embeddato nella sales page.

Perché se Zara Home può darmi l’impressione che grazie a una candela troppo cara il mio Natale sarà degno di una board Pinterest, una microazienda può fare di più: farsi inviare le mie foto e quelle di altri potenziali clienti, mettere online un tutorial che ci dice per filo e per segno come decorare la tavola, mostrare quel benedetto centrotavola all’uncinetto all’opera – perché noi saremmo anche intenzionati a comprarlo, ma per giustificarlo abbiamo bisogno di capire come si usa.

Advertising organico

Il contesto

La richiesta di autenticità ci porta a un mondo dove le aziende che chiedono visibilità con brief lunghi 30 pagine stonano di brutto. Per la pubblicità finta c’è già la TV: se scegli di inviare i tuoi prodotti ai blogger e ti aspetti di vederli fotografati come farebbe il fotografo del tuo catalogo aziendale sbagli qualcosa.

La credibilità dei blogger e degli influencer è dovuta a un rapporto di fiducia. Vivono la loro vita, mangiano e si vestono, si truccano e viaggiano, scattano e condividono sui social. Dall’altra parte c’è un pubblico interessato a sfogliare questa rivista lifestyle che si compone giorno per giorno; un pubblico che a forza di sfogliare inizia a fidarsi, per questo compra i cibi, vestiti, trucchi, vacanze consigliati. Per avere efficacia quei prodotti devono essere inseriti nel modo più organico possibile: rispettando lo stile di chi gli dà spazio e il contesto dove vengono presentati. Il problema di queste collaborazioni non è l’etichetta #ad, ma il fatto che l’azienda chiede la foto con il pacco in primo piano e il blogger la scatta senza discutere. Ciao fiducia.

Cosa fare

Se sei un blogger o un influencer: il 2019 è il momento giusto per creare un modo diverso di svolgere il tuo lavoro. Ad esempio se tutti i giorni usi iPhone e d’improvviso ti regalano Wiko non fingere di non aver posseduto un iPhone fino a un secondo prima. Dichiara che iPhone è sempre stato il tuo telefono, che ti trovi bene ma ti hanno proposto una collaborazione con Wiko e tu hai accettato; hai una settimana di tempo per testarlo insieme a noi che ti seguiamo e alla fine della settimana farai il punto onesto sulle cose che ti sono piaciute. Così se al termine dei sette giorni ti vediamo di nuovo con un iPhone in mano non ci sentiamo presi in giro.

L’esposizione di contenuti sponsorizzati a cui le persone che ti seguono sono sottoposte aumenta sempre di più e di conseguenza la fiducia scarseggia. Nel mondo dell’advertising puoi di sicuro ritagliarti uno spazio, ma non lo farai imitando Mastrota.

Calendario flessibile

Finisco con un trend che, detto tutto quello che ci siamo detti fino a qui, si compila quasi da solo: il calendario editoriale stabilito un anno per l’altro è defunto, nel 2019 i contenuti vanno ridiscussi settimana per settimana.

Ce lo chiedono il minimalismo e l’autenticità, la cui aspettativa è trovarsi davanti a post, video, fotografie che hanno qualcosa di vero e importante da dire. Che non vengono pubblicati solo perché si era deciso che ogni mercoledì alle 15 si sarebbe scattata una foto.

Questo non vuol dire autocensurarsi né smettere di avere il calendario editoriale. Farlo è necessario per non perdere il timone, essere capaci di metterlo in discussione – e se necessario di cestinarlo e reinventarlo – è importante per mantenersi in contatto con il proprio pubblico.

Questo non è un via libera a prendere il telefono e pubblicare sull’onda delle emozioni, perché come dicevo qui essere spontanei è una pessima idea, ma un invito: vivere il qui e ora, stare in contatto con sé e cercare di mettersi in relazione con gli altri. Che a questo punto diventa anche il mio augurio di buon 2019.

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