A marzo del 2015 ho aperto il mio canale YouTube. Ho messo la foto di copertina, ho aggiornato la descrizione, ho preparato lo spazio un po’ come quando si dà il bianco: l’odore dei colori e il rumore del rullo sul muro ti rendono felice, quella stanza si prepara ad accogliere i mobili che hai scelto per riempirla, non vedi l’ora di vedere come sarà alla fine.
Era tutto pronto quando sono iniziati gli intoppi: prima ero sempre in giro e non avevo energie da mettere in una cosa nuova, poi ho avuto la sinusite e la mia voce sembrava uscire direttamente dal mio naso, poi mi sono messa davanti alle telecamere ed era tutto troppo imbarazzante.
Ho pensato: bon, bello spazio, bella stanza, ma non mi serve. Come la volpe e l’uva: volevo davvero fare questa cosa, produrre dei video e metterli online (era persino nella mia bucket list del 2015), ma era più difficile di quello che sembrava. Quindi a un certo punto ho deciso di mollare.
La mia difficoltà più grossa era l’imbarazzo: ero terribilmente a disagio davanti alla telecamera, per non parlare di quando dovevo premere play e vedere com’era venuto il video. Di solito non riuscivo nemmeno a rivederlo: lanciavo un urlo di orrore dopo i primi secondi, trascinavo il video nel cestino e mi affrettavo a svuotare il cestino per non lasciare tracce.
A un certo punto, come dicevo, ho deciso di mollare: mi sono detta che non è che una deve proprio sempre mettere in pratica tutte le idee che gli vengono. Se capisci che un’idea non è buona, mollarla per dedicarsi ad altro è la scelta giusta.
Però una vocina dentro di me sussurrava che ehi, forse invece questa era un’idea buona, e il motivo per cui volevo mollarla era che non riuscivo a sopportare l’imbarazzo. Non so cos’è successo, ma è stato uno di quei momenti in cui nella mia vita ho deciso di ascoltare la vocina che sussurra, e non quella che fa la gradassa. Ho capito che mettersi a disagio, a volte, è la cosa giusta da fare.
Così ho iniziato a farlo. Mi sono messa a disagio, e l’ho fatto in pubblico: io non riuscivo a rivedere i miei video, e contemporaneamente non mi fidavo di farli vedere a chi mi vuole bene – di sicuro mi avrebbero detto che gli piacevano solo perché mi vogliono bene. L’unica opzione percorribile per sapere se questa era davvero una buona idea era farli vedere alle persone là fuori. Ho messo online il primo video, poi ne ho messi online una serie, e ho aspettato i feedback. D’altra parte: mica li stavo girando per me o per le persone che mi vogliono bene, li stavo girando per il mio pubblico, la cosa migliore era che i giudici del mio operato fossero loro.
La faccio breve: non ho ricevuto pomodori marci né (peggio) silenzio con rumore di grilli sullo sfondo. Dopo che mi sono messa a disagio sono successe queste cose:
- ho fatto il sold out delle Ore su Skype. Vendevo quel servizio da un po’, ma non era mai partito davvero. Nel momento in cui ho smesso di essere solo una che scriveva e ho iniziato ad avere anche una faccia e una voce le persone hanno iniziato a volere le mie consulenze di un’ora.
- ho capito che l’idea dei corsi video era buona, e l’ho testata mentre nessuno se ne accorgeva: ho capito cosa funzionava e cosa no, ho fatto delle modifiche, ho provato attrezzature diverse e set diversi. Guido è nato dopo più di un anno, ma è iniziato a esistere in quel momento, durante miei trial and error su YouTube.
- ho capito che per iniziare bastava poco. Poi uno può migliorare – che nel caso dei video vuol dire prendere un tecnico, affittare una sala pose, fare le cose come le fanno i professionisti, tutte cose che farò. Ma per iniziare bastava un investimento minimo.
- ho raccolto molti contatti nuovi. Aprire un canale nuovo mi ha esposta a un pubblico nuovo – anzi, meglio: mi ha permesso di raggiungere, all’interno del mio pubblico, anche persone che non leggevano i contenuti che io avevo pubblicato fino a quel momento. Ci sono persone che si trovano bene a leggere i post, persone che preferiscono ricevere tutto nella casella email, persone che amano sfogliare le slide e persone che preferiscono guardare i video. Cambiare canale e linguaggio mi ha permesso di raggiungere contatti nuovi e di risvegliare contatti inattivi, che per la prima volta hanno preso del tempo per approfondire cosa faccio e cosa vendo.
Se devo riassumere in una frase: quello che ho imparato da questa vicenda è che la passione, l’interesse, la naturale inclinazione ti portano poco lontano. È metterti a disagio che ti fa crescere.