Quest’anno ho compiuto quattro anni da freelance. Dico quattro anni e me ne sento addosso il doppio: penso ai primi tempi di lavoro pazzo e disorganizzato e mi sembrano lontanissimi, ripercorro mentalmente il passare del tempo e mi sembra che si tratti di ere geologiche, penso a cosa ci fosse prima e mi rendo conto che quasi non ho ricordi della mia vita precedente – perché uno non fa il freelance, uno diventa freelance, è un cambiamento di prospettiva e di vita (non in meglio o in peggio: un cambiamento, con tutto quello che comporta – o almeno: così è stato per me).
In occasione del mio anniversario dunque ho pensato di fare un elenco delle cose che non hanno funzionato in questi quattro anni. A dicembre ho l’abitudine di pubblicare un elenco delle cose che hanno funzionato: mi serve per chiudere bene, per condividere ragionamenti che magari sono utili anche ad altri. Ora faccio l’elenco inverso, credo che a maggior ragione possa essere utile: a me, come monito; ad altri, forse, per sentirsi meno soli.
1. Prendere dei clienti sbagliati
E prenderli in preda all’ansia, anche quando tutti i campanelli d’allarme suonavano e mi dicevano «no no no, non prenderlo». È una cosa che ho fatto all’inizio e che a intervalli ho continuato a fare anche dopo, specialmente quando mi sembrava di non stare lavorando abbastanza. È la cosa che ha ripercussioni più negative tra tutte: se non sul lavoro in sé, che magari va anche bene, sull’umore e sull’autostima di sicuro. Ho imparato che su questo bisogna sempre stare all’erta: proprio quando pensi di avere imparato, ti succede di nuovo.
2. Girare come una trottola
Dire di sì a ogni invito, partecipare a ogni evento, esserci. Che poi il discorso è: esserci va bene, ma non ha senso essere ovunque. Le trasferte costano energie, gli interventi vanno preparati, il tempo sottratto al lavoro va ripagato. Detta in altri termini: ci deve essere un ritorno dell’investimento. E il ritorno può essere in lavori che ti porti a casa dopo l’evento a cui sei stata, oppure in soldi che ti hanno pagato per essere andata all’evento.
Ho imparato che gli inviti sono lusinghieri ma bisogna mettere sulla bilancia un sacco di fattori prima di decidere, come è successo a me, che non avrai un week end libero per sei mesi di fila.
3. Occuparmi del mio business nei ritagli di tempo
Questo punto è figlio del punto 2: se per sei mesi non hai un week end libero e in settimana stai recuperando il lavoro arretrato, è evidente che il tuo business risentirà della mancanza di cure – il tuo business, non il tuo fatturato: sono due cose molto diverse, e occuparsi solo della seconda dimenticando la prima è miope. Per quanto tu ti riprometta di scrivere sul tuo blog mentre sei in treno sappiamo bene che quello che conta non è pubblicare una cosa ogni tanto, ma metterci la testa, avere un piano ed eseguirlo. O almeno, io ora lo so perché l’ho scoperto a mie spese tra un cambio treno e l’altro.
Ho imparato che i business non crescono da soli, crescono perché ci sono persone che ci si dedicano con attenzione, concentrazione e costanza. E se non puoi mettercele tu, non c’è nessuno che possa farlo al posto tuo.
4. Non farmi pagare l’anticipo
E in generale non rispettare i miei stessi termini di servizio. L’ho fatto diverse volte, ma vi racconto quella di cui mi vergogno di più. A luglio dell’anno scorso ho preso un lavoro last minute: tre giornate di formazione intensive in aula. Il cliente era un ente no profit che si occupa di progetti umanitari, la formazione era su temi molto interessanti e malgrado la stanchezza di fine stagione accetto: mancano i tempi tecnici per l’anticipo, ma pazienza, mi dico, cosa vuoi che succeda. È successo che quei tre giorni in aula a 38 gradi senza aria condizionata sono stati i più stancanti della mia vita, e che ad oggi l’ente no profit mi deve 2000 € più iva. Ente che ora non riceve le mie raccomandate o le mie telefonate, e a cui ovviamente avevo pure fatto uno sconto «per la causa».
Ho imparato che è inutile stendere un contratto se sei la prima a non rispettarlo.