Parole del marketing che non voglio più sentire

Un anno di riflessioni racchiuso in un post non particolarmente costruttivo – ma che avevo voglia di condividere.

Quando ho ridotto la frequenza di pubblicazione di questo blog (e di conseguenza di questa newsletter, per chi legge dalla mail) in favore del blog di Guido, l’ho fatto consapevole che ci sarei tornata quando ne avrei avuto bisogno. Di là i consigli di marketing online, le analisi, le riflessioni sul contesto, scritte e pubblicate a quattro mani. Di qua le mie opinioni. Che hanno bisogno di tempo per formarsi, che potrei tenere per me, che però ho voglia (bisogno?) di tirare fuori.

Ecco quindi come mai sono qui a scrivere: ho un anno di riflessioni da condividere – prometto di non dilungarmi più del necessario – e dato che un post non bastava a contenerle ci ho fatto anche un video, si trova qui. Per amore della sintesi ho racchiuso le mie riflessioni in un elenco di parole che spero di non sentire più nel mondo del marketing online (e che naturalmente sentirò ancora).

Se leggete questo post nel giorno della sua pubblicazione sappiate che oggi, lunedì 17 giugno 2019, è l’ultimo giorno per abbonarsi a Guido con lo sconto del 50% che abbiamo attivato in occasione del suo terzo compleanno. Per comprarlo basta andare sul sito di Guido e inserire il codice «VIPDELCATASTO» al momento del checkout.

Iniziamo.

«Definitivo»

Vedo sempre più spesso inserzioni che propongono sistemi definitivi di ogni tipo. Le avrete viste anche voi. Sono accompagnate da foto in cui il marketer della situazione, riunito con i suoi simili in una sala di hotel, sta davanti a una lavagna a fogli mobili e con il pennarello in mano ti invita ad ascoltarlo: «voglio condividere con te il mio sistema definitivo per trovare più clienti, un sistema grazie al quale ho ottenuto risultati strabilianti». Non mi piacciono le sale riunioni degli hotel e ho grossi problemi con i ritrovi di maschi alfa, ma non è questo il problema. Il problema di queste inserzioni sta, per me, nella parola «definitivo».

Credo che la popolarità di questo termine derivi dall’importazione di tecniche di comunicazione americane, in cui la parola ultimate, cioè definitivo, viene usata anche per cose che definitive non sono affatto. Specie in questo momento e specie nel marketing online, in cui di definitivo c’è davvero poco: è tutto per aria, proporre sistemi risolutivi una volta per tutte non è possibile.

Per dire, noi su Guido spubblichiamo continuamente dei contenuti prodotti, magari, solo un anno prima. Lo facciamo perché ci rendiamo conto che non sono più aggiornati, e lo facciamo contro il nostro interesse. Sarebbe bello occuparsi di un tema e poi non tornarci più, ma ahimè in questo settore non è proprio possibile. Non c’è nulla di definitivo nel marketing online, prima smettiamo di prometterlo prima possiamo spostarci su campi più interessanti – quello del rimanere sul pezzo anche in caso di mare mosso, per esempio.

«Fai come me»

Il trend del «fai come me» è nato quando il marketing online è diventato più accessibile e molti di noi (me compresa) anche senza aver fatto un percorso accademico che comprendesse il marketing tra le sue materie abbiamo potuto dimostrare di saperci occupare della promozione di un’attività online verso un target preciso e ottenendo risultati economici reali. E fin qui tutto bene. Ottenere risultati e dimostrare di saper fare le cose è sempre bellissimo.

Il problema nasce quando prendi la strategia che hai sviluppato e applicato a un caso specifico e reale quanto vuoi, ma uno solo, e cerchi di spalmare quella strategia su tutti i casi che ti capitano a tiro. Peggio ancora se il caso specifico e reale è quello della tua azienda e la strategia di marketing che vendi agli altri si riduce quindi a un mero «fai come me».

«Fai come me» può essere un consiglio che si dà su un’azione circoscritta, ad esempio «fai come me, io alle recensioni negative rispondo sempre usando queste frasi qua». Ma non può diventare un metodo. Se sto promuovendo la mia attività seguendo i consigli di qualcuno che mi ha detto «fai come me» allora vuol dire che sto mettendo ciecamente in atto la strategia di qualcun altro, una strategia che molto probabilmente per me non va bene, perché ogni attività è diversa e non esistono ricette né formule – altre due parole che bisognerebbe smettere di usare – ma piuttosto metodi e strumenti che bisogna capire e poi applicare ragionando di volta in volta sul contesto.

«Fai come me» è un atteggiamento che esclude la complessità e propone soluzioni preformate. Non basta avere una bellissima newsletter per dirsi esperti di newsletter e per iniziare a fare formazione sulle newsletter. Prima di dire agli altri cosa fare bisogna avere accumulato sufficienti esperienze diverse, aver lavorato su clienti diversi, con target diversi, e aver presente le possibilità di ogni strumento, le sue regole e le sue eccezioni – non per conoscere ogni sua possibile applicazione e uso, questo è praticamente impossibile, ma per aver sviluppato un metodo di lavoro che comprende la complessità e nella complessità decide di lavorare.

«Segui l’intuito»

L’intuito esiste, è fondamentale metterlo nel lavoro per rimanere connessi con sé e per tenere fede non solo ai propri piani, ma anche alle proprie sensazioni mano a mano che il contesto in cui ci muoviamo cambia e ci dà dei rimandi che a volte solo ascoltando il proprio intuito è possibile leggere e interpretare.

Detto questo, non è usando l’intuito e fidandosi dell’intuito che si costruiscono aziende che funzionano. Di certo non bisogna censurarlo, ma nemmeno metterlo alla guida e fargli fare il pilota. L’intuito non serve a questo e non sa guidare. Sa sussurrare e suggerire, ma non sa dirigere né gestire. Per questo «segui l’intuito» è una frase che bisogna smettere di usare. Si seguono i piani, si seguono le indicazioni raccolte con la lettura dei dati, si seguono le indicazioni dei consulenti di cui ci si fida, primo tra tutti il commercialista.

Questo non perché la razionalità ci becca sempre, ma perché bisogna usare tutti gli strumenti a nostra disposizione: razionalità, intuito, spirito di osservazione, dati numerici, dati non numerici, consulenze che arrivano da altri professionisti.

«Segui l’intuito» è un suggerimento che nasce dall’idea che mentre la testa è facilmente influenzabile da stimoli esterni, o che spesso tira il freno per paura, o che è troppo lenta e macchinosa, l’intuito è invece sempre vero, non sbaglia mai, va dritto al punto senza fronzoli. Ma persino gli psicologi dicono che non è così: James Hillman ha scritto che l’intuizione, se lasciata sola, può scegliere il cavallo vincente con la stessa probabilità con cui può scegliere quello sbagliato. L’intuito non è un super potere e non è vero che non sbaglia mai.

Il motivo per cui «segui l’intuito» è un consiglio e anche un approccio così diffuso nel marketing online è che gli altri strumenti a cui bisognerebbe affiancarlo non sono così simpatici né accessibili: ci vuole un minimo di sbatti per leggere i dati, ci vuole tanto tempo per fare piani solidi, ci vuole molta esperienza per sviluppare e tenere vivo il proprio spirito di osservazione. Tutti questi strumenti a cui l’intuito deve necessariamente affiancarsi si presentano sotto forma di tabelle .csv, di file Excel, di ore e ore di studio e lavoro costante ripetitivo e noioso. Le intuizioni invece sono chiare, veloci, piene di calore: per questo sono così convincenti.

È però responsabilità di chi si occupa di marketing online mettere in luce non solo questo lato più emozionante, ma anche l’altra faccia della medaglia, quella fatta di tabelle Excel, necessaria per costruire attività solide.

Parole oscure

Infine, mi sono stancata di sentire usare parole oscure, opache, prive di significato oppure piene di significato ma inaccessibili, perché volutamente non tradotte.

C’è l’idea diffusa che usare parole oscure, difficili, inaccessibili renda una persona più professionale. Io penso al contrario che sia compito dei professionisti diventare accessibili, relazionandosi di volta in volta al contesto in cui si trovano, essere capaci di modulare la propria comunicazione a seconda del pubblico che hanno di fronte. Questo non solo per farsi capire meglio, ma anche per non rischiare che queste parole oscure diventino il perno su cui si basa la loro comunicazione, la leva della loro vendita, e che lo diventino proprio per il fatto di essere incomprensibili.

Succede spesso infatti che termini difficili vengano scelti al posto di loro sinonimi più semplici per il loro effetto magico, che trasforma questi termini in vere e proprie esche. E così invece di dirti che una delle componenti fondamentali di ogni strategia di marketing è il passaparola, ti dicono che una delle componenti fondamentali è il deep web. Che è un termine oscuro e anche impreciso per dire la stessa cosa. Se ti dicessero passaparola capiresti, ma ti dicono «deep web» e tu non capisci – ma dato che sei intenzionato a capire compri il tale corso o il tale libro, per poi scoprire che era tutto solo un giro di parole.

E queste sono le parole che non sopporto. Dalla prossima settimana sarò più costruttiva e inizierò a tradurre una serie di parole diffuse ma usate spesso fuori luogo: iniziamo da funnel (!), se volete potete seguire qui.

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