Nelle ultime settimane ho fatto molta ricerca sulle bio e sulle about page: ho letto, sfogliato, preso appunti. Tutta questa ricerca mi serviva perché a novembre su Guido esce una raccolta che si chiama «About page che funzionano» – in cui appunto parleremo di come fare funzionare queste benedette pagine «about» – ma mi va di condividere anche qui alcune tra le cose che ho imparato leggendo così tante pagine «chi sono» (o «chi siamo», a seconda dei casi).
Le cose che mi hanno colpito di più sono due, e a pensarci bene riguardano lo stesso tema: quello delle parole che scegliamo e che usiamo per descriverci, e delle conseguenze di queste scelte.
1. Le parole che sminuiscono chi legge
C’è un numero incredibilmente alto di about page che sembra scritto per sminuire chi legge (che poi «chi legge» sarebbero i potenziali clienti, visto che stiamo parlando di about page di piccoli business).
Non credo che in questi casi le parole siano scelte intenzionalmente allo scopo di sminuire (o forse sì, a seconda dei casi) ma di fatto la conseguenza di un certo tipo di impostazione è quella: leggo la tua about page, mi sento stupido, e di conseguenza sono attratto da te perché magari mi potrai illuminare con la tua intelligenza. Anzi, con le tue skills.
Ad esempio: se l’unica cosa di cui mi parli nella tua about page è quanto è figo strategizzare dalla tua casa di Bali e volare da una parte all’altra del mondo con il tuo laptop mentre fatturi diverse migliaia di K scrivendo un solo post – e soprattutto se l’accento in tutto questo è che per te è facilissimo farlo, beh: l’effetto che ottieni, come dicevo, è farmi sentire stupida. Del tipo: quindi sono io l’unica scema che non ha ancora scoperto qual è il trucco per farcela?
Non credo che questo tipo di about page non funzioni, anzi. Credo che funzioni per attirare a sé una vasta schiera di clienti con aspettative in media molto alte, che aspetteranno sempre che tu gli sganci il prossimo trucco, la prossima tattica, la prossima ricetta. (E se poi quel trucco non funziona cosa succede? Questo non lo so, io mi sono fermata alla lettura delle about page, non ho iniziato nessuno di quei percorsi miracolosi che venivano promessi.)
2. Le parole che sminuiscono sé
Se la prima categoria mi mette tristezza, la seconda mi fa arrabbiare. Anche perché è molto più diffusa della prima.
Vado dritta al punto con un esempio – e spero di non offendere nessuno. Se sei una graphic designer e hai un sito per vendere i tuoi servizi di grafica, e se la tua about page parte con parole come «mamma di due cuccioli», la mia opinione è che stai sbagliando tutto.
E tengo a sottolineare che di solito non mi piacciono i «tutto» e i «niente», di solito mi piace tenere conto della complessità delle cose, ma in questo caso non ho dubbi: è completamente sbagliato perdere di vista l’obiettivo (che in questo esempio è: farmi capire che sei la graphic designer più figa della terra) e iniziare l’about page con parole che non solo non supportano la tua professionalità, anzi, la sminuiscono, la mettono in secondo piano, e nei casi peggiori me la fanno del tutto dimenticare o addirittura mettere in discussione.
È un discorso di opportunità e priorità: il tuo sito ha una sola about page, e la tua about page ha un solo primo paragrafo, di solito si fa un gran lavoro di selezione per capire quali parole usare in questi spazi, per dire le cose importanti, prioritarie. E se la tua priorità sono i cuccioli: buon per te, ma io ti volevo assumere come graphic designer, e parlandomi per prima cosa dei tuoi cuccioli non mi fai sentire al sicuro.
Volendo tenere conto della complessità delle cose: mettiamo che il tuo obiettivo sia lavorare come graphic designer per aziende del segmento «prodotti per la prima infanzia». Non è il tuo essere «mamma di due cuccioli» che convince il cliente a sceglierti, ma il fatto che sei, come dicevo, la graphic designer più figa della terra, quella perfetta per lui. È la tua preparazione, la tua mission, il tuo portfolio, il tuo metodo di lavoro che convince l’azienda a sceglierti. Sceglierti solo perché sei una mamma sarebbe quantomeno una leggerezza.
Per parlare dei cuccioli ci può essere spazio altrove, intendiamoci, non sto cercando di eliminare i cuccioli (o in generale le cose più personali) dal panorama: solo l’about page non è il posto giusto per farlo, o almeno non subito, non così, non come se fosse un elemento importante tanto quanto il portfolio. Dai, DAI, su.
Le parole che andrebbero scelte
Chiudo dicendo che più in generale mi sembra che nel momento in cui si progetta una about page ci sia la tendenza a perdere di vista l’obiettivo.
Se devo riassumere, l’obiettivo di una about page per me dovrebbe essere farmi capire che stai parlando con me. Anzi: se vogliamo puntare all’eccellenza l’obiettivo dovrebbe essere farmi capire che stai parlando di me. Ma quello ci riescono in pochissimi a farlo (ne parleremo dentro la raccolta di Guido, senza ricette né cose del genere, perché le ricette ahimè non funzionano.)
Per ora una roba più facile da fare, tanto per iniziare a mettersi sul sentiero giusto, potrebbe essere: scegli una cosa per cui vuoi farti ricordare, poi raccontamela, sapendo che hai poche parole a disposizione. Perché io che leggo sono pigra, stupida e anche un po’ cattiva. (Oltre che essere una verità, questa è anche una citazione da Demian Farnworth).