Ti stai facendo la domanda sbagliata

Spesso ci si chiede «come posso far parlare di me?», ma la domanda giusta è «cosa voglio che si dica di me?»

passaparola

Quando ti metti in proprio, e lo fai da freelance, la prima cosa di cui hai bisogno è che qualcuno parli di te ad altri: per farti conoscere hai bisogno del passaparola, ma è difficile che qualcuno passi parola se nessuno ti conosce. È un circolo vizioso.

La verità è che la maggior parte delle persone nella fase di avvio (e forse anche dopo) si concentra sulla domanda sbagliata. Ci si chiede «quali strategie posso mettere in campo per far parlare di me», quando il primo passo è in realtà capire di che cosa fare parlare. Sì, devo fare parlare di me, ma cosa voglio che si dica?

Non puoi controllare quello che dicono gli altri, ma puoi (e devi) assicurarti di dare loro le informazioni giuste su di te. Fino a quando non sai cosa puoi (anzi, meglio: cosa vuoi) dire su di te e sul tuo lavoro, non ha senso mettere in campo delle strategie per favorire il passaparola.

Capire cosa dire su di sé è difficile per tutti coloro che lavorano in proprio, ma secondo me per i life coach è ancora più difficile, per tre motivi:

  • la maggior parte delle parole che si usano per spiegare la professione dei life coach, a partire dal nome stesso della categoria, è in inglese. E la maggior parte delle persone in Italia quando vede una parola in inglese la salta a piè pari, non la legge nemmeno.
  • Il secondo motivo è che questa è una professione nuova, ed è difficile raccontarla usando poche parole di uso comune. E fino a qui niente di grave: le stesse difficoltà sono condivise da altri professionisti, ad esempio i social media manager (professione ugualmente internazionale e nuova).
  • Il terzo punto è il più importante: i life coach risolvono un bisogno che è, nella maggior parte dei casi, legato a una sfera privata. Anche quelli che si occupano di business e di carriera: non tanto per il tema dei colloqui, ma perché il tuo coachee, prima di diventare tale, deve ammettere di avere un bisogno – che, nella maggior parte dei casi, corrisponde a una difficoltà.

Ad esempio: sono una consulente e voglio nuovi clienti, e mi rendo conto di aver bisogno di aiuto nella comunicazione del mio lavoro. È facile che io mi rivolga, ad esempio, a un grafico. Ma magari la mia difficoltà nel trovare clienti è legata a un problema di autostima, che si riflette sul modo in cui comunico il mio lavoro. È più difficile che io ammetta di dover cercare una soluzione a quel bisogno, più privato e profondo. È più facile mandare una mail a un grafico che cercare aiuto da un life coach. (E questo esempio è completamente autobiografico.)

Cosa dire, quindi, di te e del tuo lavoro? Sapendo queste tre cose, di sicuro non puoi dare niente per scontato. Ogni volta che racconti qualcosa sulla tua professione e sul modo in cui la svolgi, fallo in modo più semplice possibile. Non usare i termini di settore, se non dopo esserti assicurato che chi ti legge abbia capito cosa vogliono dire. Racconta e condividi in modo generoso, soprattutto. Non avere paura che ti rubino le idee: non c’è nessuna idea da rubare, il valore non sta in quello che fai, ma in come lo fai. Ecco cosa devi dire di te.

Una volta avviato il passaparola, c’è il problema della visibilità. E ogni volta che scrivo la parola «visibilità» mi viene in mente internet, quasi come se fossero sinonimi. Come se essere online ti garantisse automaticamente di essere visibile, e aprire il maggior numero di canali possibili aumentasse in modo esponenziale quella visibilità. Di certo ce lo hanno raccontato così per un tempo sufficientemente lungo da farcelo almeno sperare.

Non è così: l’esposizione non si compra un tanto al chilo, si guadagna con molte ore di duro lavoro. E aprire un canale (Pagina Facebook, oppure blog, oppure newsletter) è l’eventuale esito di un percorso che inizia nel momento stesso in cui capisci cosa vuoi raccontare di te, e che prosegue chiedendoti: dove voglio che mi vedano, e quanto?

Non c’è una risposta univoca a questa domanda. Nessuno può dirti quali canali aprire senza sapere esattamente chi sei e cosa fai. Ma ci sono delle linee guida.

Per me, ad esempio, è stato fondamentale smettere di pensare a me e a quello che facevo per iniziare a pensare agli altri – dove gli altri sono i clienti. È inutile presidiare tutti i canali se i tuoi clienti sono uomini sulla sessantina e l’unico modo in cui usano internet è controllare (magari ossessivamente, dal loro blackberry nero) le email.

Capire dove sono i tuoi clienti è un bel lavoro, un po’ lungo, ma divertente. Presuppone che smetti di fare le cose come le hai sempre fatte e guardi tutto in maniera nuova. Che invece di dire «su Facebook ci sono solo i gattini» ti chiedi perché le persone condividono i gattini su Facebook, e poi cerchi di capire in che modo puoi inserire te stesso e il racconto della tua professione in quel contesto.

Chi riesce a fare queste cose non solo non ha problemi di visibilità, ma ha riesce pure a ricevere quella giusta. Non è affatto banale, ma è possibile.

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