Se tornassi indietro mi darei tre consigli

Un post della serie «evita di fare gli errori che ho fatto io»

C’è una storia che racconto spesso, e che qui non avevo mai condiviso: quella di quando ho fatto un preventivo di 14 pagine, l’ho chiamato «progetto», gli ho dato un prezzo ridicolo e – com’era ovvio – mi sono fatta ridere in faccia.

Se avete voglia di sentirla a voce c’è il video, altrimenti ecco qui i punti salienti della vicenda, sotto forma di consigli che mi darei se tornassi indietro.

Un preventivo non è un progetto

È chiaro che quando un cliente ti chiama vuole sapere quale sono le tue idee in merito alla questione che ti sta ponendo: altrimenti come fa a sceglierti, a capire che sei la persona giusta per lui e che lavorerete bene insieme?

Qualcosa va detto, ma non tutto. Il limite non è manco tanto sottile, a pensarci bene, e risiede tra il dimostrare che sai fare il lavoro che sei chiamato a fare e l’iniziare a farlo ancora prima che ti venga assegnato.

Un preventivo non è un progetto: il progetto è, specialmente quando ciò che vendi sono le tue idee e la tua creatività, il punto di arrivo di un lavoro – e non certo il punto di attracco da mettere nelle mani del cliente senza contesto, senza impegni reciproci, senza che sia stata pagata almeno una fattura di anticipo.

(Consiglio bonus: mai iniziare a lavorare prima che la fattura di anticipo sia stata pagata.)

Hai bisogno di un lavoro, non di quel lavoro

Prendere un cliente è come andare al mercato e trattare per una nuova felpa: ti piace, la vorresti prendere, inizi una trattativa che può andare in porto oppure no. Se la prendi: evviva, ben fatto! Se non la prendi: ci sono tante altre felpe in attesa di essere indossate, scommetto che al prossimo banco ne trovi una migliore.

Scrivere un preventivo pensando che la felpa deve per forza essere tua ti costringe invece a subire la trattativa.

Il rischio di questa mentalità è riuscire a prendere il cliente, ma a un prezzo talmente basso da farti poi diventare insopportabile quel lavoro. Hai bisogno di un lavoro, non di quel lavoro: ecco l’unica frase da avere in mente quando si scrive un preventivo.

Non sei il tuo migliore alleato

Lavorare in un ufficio dove hai un capo e dei colleghi ti mette al riparo da errori madornali: c’è una struttura intorno a te che evita che tu esca fuori con un preventivo di 14 pagine di cui se ne salvano due a malapena (e una delle due è quella con il tuo indirizzo).

Lavorare in proprio richiede che tu ti costruisca attorno quella stessa rete di contatti, per interpellarla nei momenti in cui hai bisogno di confronto. Quali sono i momenti in cui hai bisogno di confronto (anche se non lo sai)? Tutti quelli in cui hai paura: di riuscire, di fallire, o anche solo di provare. Lì ti serve un alleato da contattare per chiedergli: mi guardi questo documento prima che io lo invii al cliente?

Caratteristiche fondamentali del tuo alleato: non deve giudicarti, né dirti «fai come faccio io» (hai bisogno di trovare la tua strada, non di ripercorrere la sua). Deve avere a cuore i tuoi interessi e il tuo successo, senza se e senza ma.

È tutto? No, figuriamoci. Ma è abbastanza: se avessi avuto dalla mia questi tre consigli mi sarei evitata un sacco di scivoloni.

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