Mercoledì scorso ho messo in svendita i miei corsi in pdf. Li volevo togliere dal catalogo per fare spazio ad altri prodotti, così li ho uniti in un pacchetto e li ho scontati del 30% per quattro giorni – per poi toglierli dal sito una volta per tutte. Queste sono le cose che ho imparato.
La promozione: newsletter e social
Per promuovere la svendita avevo diverse possibilità: scrivere un post sul blog, pubblicare una serie di post sui social, inviare una o più newsletter, comprare degli spazi pubblicitari.
Ho scommesso sul fatto che i miei pdf erano lì da un po’ di tempo, che non avevano mai dato l’impressione di andare via, e che quindi ci fosse un numero sufficientemente ampio di persone che stava pensando «prima o poi me li compro». Così ho inviato una sola newsletter, ho pubblicato due post su Facebook, due tweet, due post su Instagram (uno all’apertura e uno alla chiusura delle vendite).
Di 100 acquisti (tondi!) la maggior parte è arrivata dalla newsletter: chi ha comprato il pacchetto è iscritto ed è arrivato alla sales page direttamente dalla call to action della mail, oppure ci è arrivato perché qualche iscritto gli ha girato la notizia.
I post sui social, in questo caso, sono serviti più che altro per parlare con gli indecisi: un po’ perché hanno fatto da promemoria, un po’ perché si prestavano ad essere commentati da chi aveva già comprato ed era soddisfatto dell’acquisto – è la famosa social proof, e serve sempre.
I problemi del form d’acquisto
Molte persone non sono amiche dei form. Nel mio caso il form è uno: durante il checkout ti vengono richiesti nome, cognome, codice fiscale e indirizzo – sono dati che mi servono per la fatturazione. L’avevo notato nel corso del tempo, ma ora ne ho avuto la conferma definitiva: forse per questioni di privacy, forse perché non è chiaro quale sia la funzione del form o forse per distrazione molte persone inseriscono nei campi del form dati incompleti, sbagliati o falsi (tipo: le iniziali del nome anziché il nome per esteso).
È una complicazione che a volte si risolve con uno scambio di mail (che comunque richiede tempo), e che a volte dà un’esperienza d’acquisto sgradevole (ad esempio: se metti la mail sbagliata poi non ti arriva il file che hai comprato).
Più email di quante pensi
C’è bisogno di parlarsi: prima di comprare oppure subito dopo aver comprato molte persone preferiscono mandarti una mail. Prima di oggi le email mi sono sempre arrivate prima dell’acquisto (anche solo per dire: «ehi, figata, sto per comprare»), ma durante la svendita sono arrivate dopo – in effetti c’era la questione del tempo limitato che metteva una certa fretta.
Forse la compilazione del form e il pagamento via PayPal fanno un po’ supermercato, forse le mie email di conferma di acquisto ricercano la conversazione, in ogni caso ho notato che c’è sempre la ricerca di un contatto, e il risultato è che durante operazioni come questa ricevi molte più email di quelle che pensavi, e che quindi ti devi tenere del tempo libero, nei giorni successivi, per leggere e rispondere.
Cosa succede dopo
Non sono mai stata amica delle svendite. Penso che gli sconti e le promozioni vadano fatti ma che non se ne debba abusare, altrimenti si dà l’impressione di essere un business sempre in saldo. In generale penso che abbia senso organizzare una svendita se c’è un obiettivo di medio-lungo periodo: se dopo la svendita (nei giorni o nei mesi successivi, a seconda dei casi) viene lanciato qualcosa che interessa lo stesso tipo di clientela che ha comprato il prodotto scontato. Ad esempio: sconti un prodotto per chi inizia, e dopo poco lanci un prodotto per chi vuole approfondire.
In generale penso che bisognerebbe sempre tenere in considerazione il contesto e le conseguenze di lungo periodo. Perché anche l’incasso di una svendita è un risultato, ma di per sé non basta. Il punto non è fare cassa, il punto è – come sempre – assicurarsi di avere un terreno su cui costruire un business solido.