Domani mattina installerò le app di Instagram, Gestore delle Pagine Facebook e Twitter sul mio telefono. È da un mese che non uso i social: il 18 dicembre 2017 li ho aperti per l’ultima volta prima di prendere una pausa, ora è il momento di tornare.
Ma prima, un bilancio: ecco cosa ho scoperto dal mio mese senza social.
Fai bene a staccare
Quando ho annunciato che avrei staccato per un mese (dai social, non dal lavoro) molti hanno commentato: «fai bene a farlo, se puoi permettertelo».
La risposta è no, non posso permettermelo: se mi metto a pensare a tutte le cose che ho da promuovere l’idea di staccare dai social, dal blog, dalla newsletter mi sembra improvvisamente molto stupida. Ma questo secondo me è il punto di osservazione sbagliato: non posso permettermelo, ma ne avevo bisogno, ed è ciò che conta.
Senza entrare nei dettagli del mio bisogno di staccare (tanto noiosi quanto personali), il consiglio che ora mi sento di dare a chiunque avverta il bisogno di starsene un po’ in pace, di chiudere tutto fuori è: fallo. Anche se non puoi permettertelo. Al tuo ritorno troverai tutto ad aspettarti com’era – o forse migliorato, perché nel frattempo avrai ritrovato anche te stesso. O almeno, qualche parte di te che forse avevi dimenticato di frequentare.
Cosa mi è successo mentre ero offline
I primi giorni senza social ho avuto qualche difficoltà: mi veniva da aprire Instagram o Facebook, non potevo, e non sapevo cosa fare al posto di scrollare quei feed. All’inizio ho usato i messaggi diretti: invece di pubblicare una foto la mandavo ad amici o famigliari, via Messenger o Telegram. Dopo poco ho smesso di farlo, e mi sono goduta la noia.
A quel punto, con il tempo che mi si era liberato dallo scroll sistematico, ho iniziato a studiare. Era da tanto che non mi prendevo del tempo per concentrarmi in modo così esclusivo su una materia, fino a farla diventare un’ossessione. Ho approfondito l’arte di girare e montare dei video, e più approfondivo più capivo che stavo solo grattando la superficie delle cose che avrei voluto sapere – quindi eccomi a cercare altre informazioni, e altre ancora.
Dopo una settimana la creatività è tornata. Ho preso un blocco per appunti e ho iniziato a scrivere. Dopo due settimane avevo le idee abbastanza chiare per proporre a Ivan una serie di format che avremmo potuto sperimentare: per la prima volta dopo settimane ero entusiasta per i contenuti che avremmo potuto produrre; si trattava di lavoro, sì, ma era un lavoro che non vedevo l’ora di fare.
A quel punto ho capito che questa esplorazione poteva funzionare solo se mi davo delle regole. Ne ho scelte due:
- Sei qui per giocare. Se durante questo mese decidi di mettere in pratica qualcuna di queste idee fallo per spirito di sperimentazione, non per «portarti avanti con il lavoro». Niente di tutto ciò che farai dovrà uscire da questo “parco giochi”, niente sarà reso pubblico, ciò che stai facendo non ha uno scopo (non nell’immediato almeno).
- Leggi solo i contenuti che hai cercato attivamente. Vatti a prendere ciò che ti serve, usalo, riponilo. Guida le tue ricerche come si faceva con l’enciclopedia: cerco una voce, la leggo, grazie a questa scopro altre voci, decido in quale ordine approfondirle. Una per volta.
Infine nel corso della terza settimana mi sono ricordata di Chiara Ferragni, di cui non ho più saputo nulla. Non potendo aspettare mi sono fatta raccontare tutto da Marianna che ha provveduto ad aggiornarmi con dovizia di particolari.
«Anche oggi non si lavora»
Filava tutto liscio, fino a quando YouTube non mi segnala nuovi commenti sul mio canale: «ma come, un salone delle feste?», «anche oggi non si lavora», «scusa ma questo non doveva essere un ufficio?», «speravo di trovare informazioni utili, invece».
E all’improvviso eccomi qui, catapultata di fronte al mio personale mostro: quello che a seconda dei casi prende forma nel senso di colpa perché non stai lavorando a sufficienza, o nel timore di aver fatto tanto, ma non abbastanza. («Oggi mi hanno interrogata e ho preso 8», «Ah, perché non hai preso 9?»)
Tutto questo a conclusione di un anno in cui, invece, mi sembrava di aver spostato le montagne. Ma forse non abbastanza? E allora mi sono dovuta chiedere: quanto è abbastanza?
Trova il tuo ritmo
L’otto gennaio su Guido è uscita una raccolta che dovevo scrivere, filmare, editare. Che avevo già scritto, ma che in queste vacanze ho buttato nel cestino, per riscrivere daccapo.
Proprio mentre mi ero ritagliata del tempo per correre nei parchi giochi della creatività, eccomi al lavoro per migliorare qualcosa che andava bene, ma non abbastanza, non come avrei voluto che fosse.
Il lavoro tra Natale e Capodanno si è tradotto in una raccolta di video di cui sono davvero soddisfatta. Anche le altre mi piacciono, ma questa è speciale, e lo confermano tutte le mail che abbiamo ricevuto dopo il suo lancio. Si chiama «Calendario marketing annuale», e tra le altre cose dentro c’è un calendario marketing che ho fatto con le mie manine, da scaricare e personalizzare:

La risposta alla domanda che mi girava nella testa (quanto è abbastanza?) l’ho trovata in quei momenti in cui lavoro, gioco, vita privata si sono alternati con naturalezza.
Mi sono accorta di una cosa che sapevo, ma che ogni tanto devo riscoprire: il binomio pausa e lavoro è inseparabile (se non c’è l’una non esiste nemmeno l’altro), perché non è il numero di ore lavorate a fare di un lavoratore un professionista. Se hai dei ritmi sostenibili, se ti prendi cura delle cose che ti divertono, se costruisci intorno a te un ambiente di lavoro sano e piacevole, da cui puoi anche prendere una pausa quando ne hai bisogno, allora lavori meglio. Raggiungi il punto di soddisfazione in cui io trovo la misura di quell’abbastanza che mi perseguita.
Non è la “tensione verso il meglio” a farmi lavorare meglio. È la ricerca di un ritmo equilibrato tra pausa e lavoro, tra gioco e scopo, tra privato e pubblico.
«Trova il tuo ritmo» è la frase sulle cartoline che di tanto in tanto spediamo agli abbonati di Guido: abbiamo scelto queste parole perché ognuno ha il proprio ritmo, e noi gli auguriamo di trovarlo, rispettarlo, riuscire a farlo diventare un’abitudine. Inizio quest’anno mandando la cartolina di Guido a me stessa: questa volta l’augurio serve a me.