Qualche giorno fa Daniela di Ehiweb mi ha mandato delle domande per un’intervista. Mi sono messa rispondere battendo sui tasti del computer come se insieme alle domande fosse arrivato anche un cronometro e un tempo massimo, à la Ispettore Gadget.
Non era così, ma visto che il tema mi infiamma e che qui non ho problemi di spazio ci torno sopra per colorare un po’ fuori dai bordi.
L’approccio a due fasi
Ricevo spesso richieste di consigli da parte di studenti che vorrebbero fare il mio lavoro ma non sanno da dove iniziare: «che libri mi consigli di leggere?», «vorrei frequentare questo master, me lo consigli?», «ci prendiamo un caffè?».
Faccio sempre molta fatica a rispondere a questo genere di domande: non ho manuali di settore da consigliare a chi inizia, non ho tempo per prendere dei caffè, e per questi due motivi mi sento una brutta persona.
La verità è che vorrei rispondere che qui l’approccio «a due fasi» non funziona (la prima fase è studio-studio-studio, la seconda lavoro-lavoro-lavoro, e le due sono nettamente separate). È una cosa a cui avevo già accennato, e sulla mia Pagina Facebook si era scatenato un polverone: ci sentiamo minacciati da chi impara facendo e non ha i titoli per provare che sa davvero fare quello che dice di saper fare. Io però non ce l’ho con i titoli, io ce l’ho con il mettersi il bastone tra le ruote: con il continuare a rinviare il fare perché prima devi studiare tutto lo studiabile.
In altre parole, la mia risposta è: non ti iscrivere a un master, per quello c’è sempre tempo (fino a quando non ce n’è più perché stai lavorando troppo, ma questo è un risultato auspicabile).
Un test sul campo
Per me il modo migliore per iniziare a fare questo lavoro è, appunto, iniziare a farlo. Su te stesso o su qualcun altro, è indifferente. L’importante è farlo da subito, senza aspettare, studiando e lavorando in contemporanea: procurati qualcosa da comunicare e poi comunicalo.
Quel qualcosa puoi essere tu, può essere il progetto di un amico, può essere il negozio di un tizio che conosci e che avrebbe bisogno di promuoversi online. E sì: si tratta a tutti gli effetti di lavoro gratis – perché da qualche parte bisogna iniziare. Quale migliore test per chi di lavoro vuol fare il comunicatore, se non dimostrare che si è capaci a farlo, sul campo?
«Eh ma non me ne danno la possibilità, non mi prendono nemmeno per fare uno stage».
Eh. Ma iniziare a fare il lavoro non vuol dire chiedere ad altri di permetterti di farlo, vuol proprio dire mettersi al lavoro. Senza aspettare che ti cada dall’alto.
La bella notizia è che questo lavoro non ha bisogno di investimenti iniziali. Penso a chi vuole fare il pasticcere e mi metto le mani nei capelli, tra normativa e macchinari sembra un gran casino, ci vuole un budget iniziale da investire, non basta svegliarsi una mattina e decidere che farai il pasticcere. Invece noi possiamo metterci letteralmente dieci minuti: possiamo aprire un blog e procurarci una presenza online da comunicare. Prima non eravamo nessuno, ora siamo dei blogger: questa è una fortuna immensa, non sprechiamola.
Comunque dei libri
Poi non vuol dire che se il tuo progetto sta andando bene sei arrivato. L’errore dietro l’angolo a quel punto è pensare che sei stato bravo con quel singolo progetto, è fatta, non hai più niente da imparare. È una tendenza che secondo me abbiamo tutti, forse perché è difficile ammettere di non sapere qualcosa: sembra innaturale avere lacune proprio nella materia di cui ci occupiamo tutti i giorni.
Sapere tutto su questo lavoro, per come la vedo io, non è proprio possibile: ci sono pubblici diversi da raggiungere, storie diverse da raccontare, strategie diverse da ottenere… bisogna vederne di tutti i colori, continuare a mettere le mani in pasta (in un sacco di paste diverse), non smettere mai di sporcarsi fino ai gomiti.
In questo senso sì, i libri e i corsi aiutano: ti raccontano sfide con cui ancora non ti sei confrontato, ti preparano a diversi scenari possibili. Tra tanti libri possibili io consiglio di leggere questi:
- George Lois, Damn Good Advice (for people with talent), Phaidon, 6,76€.
- AA.VV., The Cluetrain Manifesto, Basic Books, 8,48 €.
- Robert Cialdini,Influence – The Psychology of Persuasion, 12,40 €.
«Eh, ma tutti in inglese?»
Sì, questo lavoro è un lavoro in inglese, se non sai l’inglese questo è il momento giusto per impararlo. Se non impari l’inglese non puoi fare questo lavoro.
Fermarsi
Il punto dove porta questo processo di lavoro-studio-lavoro-studio non è, al contrario di come uno penserebbe, la conoscenza globale e «risolta».
Si fa questo percorso per poi accorgersi che si può arrivare solo fino a lì. Che se ad esempio ho curato la mia newsletter, è andata benissimo, ma non ho mai curato quella di qualcun altro, allora non posso dire di saperne di newsletter: posso dire che l’argomento mi interessa, e darmi da fare per saperne di più. Continuare a studiare e soprattutto cercare dei progetti nuovi e diversi con cui confrontarmi. Oppure, in alternativa, accontentarmi di ciò che sto facendo e dire basta: «no grazie, non posso occuparmi di newsletter».
Dire che non sai fare o che non puoi fare una cosa è molto bello, ho imparato con il tempo: ti dà sollievo, ti centra, ti fa stare nel momento. Ti definisce.
Se l’inizio è caratterizzato dal buttarsi nei progetti per accumulare esperienze e conoscenze, la maturità arriva con la capacità di stabilire un confine, di dire «io mi fermo qui».
E forse è proprio quello il momento in cui capisci che questo lavoro non hai iniziato a farlo, ma lo stai proprio facendo: quello in cui siedi in una riunione e dici serenamente ai tuoi clienti che quella cosa non la sai fare. Ce ne sono altre che puoi fare per loro, si contano sulle dita di una mano, ma le sai fare davvero bene.