Ieri Instagram ha annunciato che cambierà il nostro modo di vedere le foto delle persone che seguiamo. Non ce le mostreranno più in ordine cronologico, ma:
To improve your experience, your feed will soon be ordered to show the moments we believe you will care about the most.
È lo stesso identico annuncio che fece Facebook il 2 dicembre 2013, quando l’algoritmo cambiò nome (prima si chiamava Edge Rank) e anche – soprattutto – portata: fu l’inizio della fine per un sacco di Pagine, ci fu chi chiuse Facebook scrivendogli una lettera di addio, chi pubblicò la risposta di Facebook a quella lettera, chi cercò di fare chiarezza nel mezzo di tutta quella confusione.
Dicembre 2013 era un gran bel momento in cui occuparsi di marketing online: le regole del gioco stavano cambiando, ed esserci mentre questo succedeva, poterlo seguire in diretta, era interessante e divertente. Oggi è la stessa cosa: Instagram cambia le regole, ed era prevedibile. E oggi come allora quello che mi colpisce di più di tutta la vicenda è che al centro ci sono «the moments you will care the most about», e cioè i contenuti a cui teniamo di più, quelli che troviamo più interessanti.
Cosa vuol dire «interessanti»
Per una che lavora con i contenuti, e che spende la maggior parte del tempo a capire insieme ai propri clienti quali sono i contenuti migliori per raggiungere il pubblico di riferimento, questo è un tema enorme, aperto, non risolto, in continua evoluzione. Dare una definizione di «contenuti interessanti» è davvero difficile – però posso dire quello che ho imparato fino a qui sui contenuti interessanti:
- spesso i contenuti interessanti sono i più facili da produrre, e per questo contemporaneamente i più difficili: pensavi di doverti sforzare un sacco per trovare il contenuto giusto, invece bastava dire quella cosa lì, quella banalità che sembra quasi una stupidaggine;
- fare il salto mentale da «eh ma questo è banale» a «se è semplice funziona» è difficile specialmente per chi pensa di dover, ogni volta che pubblica qualcosa, scrivere una tesi di laurea: cioè per tutti noi che abbiamo studiato in Italia e abbiamo interiorizzato la cultura del «se quello che stai per dire non ha una completa bibliografia di riferimento, allora non puoi dirlo»;
- semplice non vuol dire veloce, anzi, tutta l’attività di sintesi chiede tempo: una volta che hai prodotto il contenuto devi trovare il modo di renderlo chiaro, immediato, coerente – e questo spesso implica il fatto di doverci tornare sopra più volte in momenti diversi.
Faccio un esempio per uscire dalla teoria e entrare nella pratica. Questo post è apparentemente uno scarabocchio alla veloce: mi è venuta un’idea, ci ho fatto un disegnetto, l’ho pubblicata.
In realtà dietro c’è qualche passaggio in più:
- capire che non devo per forza parlare di scienza infusa, ma che posso fare battute su argomenti che riguardano sia me che i miei clienti
- trovare questi argomenti comuni di cui parlare
- una volta trovato l’argomento, buttare giù l’idea in modo schematico, capire quali voci tenere e quali no a favore dell’immediatezza e del «don’t make me think». Inizialmente in questo grafico c’erano due fette in più, poi guardandolo mi sono resa conto che non era immediato – ci mettevi troppo a leggere e capire – quindi ne ho tolte due e accorciato le altre per andare dritta al punto
- quando è convincente, disegnare il grafico con i pennarelli e poi fotografarlo
- capire con quale didascalia accompagnarlo. Questo a volte è il lavoro più lungo – specie se sei prolisso o poco abituato a fare tutti questi passaggi prima di poter finalmente pubblicare (ci arrivi spazientito, e al momento di scrivere la didascalia non ne puoi proprio più).
Come si fa a essere interessanti
Se per natura diffido di chi dà «ricette che funzionano», davanti a ricette che riguardano i contenuti scappo a gambe levate. Dare una definizione di contenuti interessanti è difficilissimo, figurati trovare la formula per produrli una volta per tutte. Non lo so come si fa a essere interessanti, ma so quali sono i passaggi per assicurarsi di essere il più possibile interessanti.
Quando lavoro al calendario editoriale di un canale (blog, Facebook, Instagram, newsletter…) mi faccio tre domande:
- di cosa abbiamo parlato fino ad ora, e come sono andati quei contenuti? Ci sono dei dati? Bene, guardiamoli! Non ci sono dei dati? Strano, secondo me ci sono: proviamo almeno a recuperare i feedback ricevuti fino a qui.
- chi è il nostro pubblico di riferimento, che cosa gli interessa? Qui vado di gran ricerche usando sia Google sia la Facebook Graph Search, cioè semplicemente la ricerca di Facebook, che se lo usi in lingua originale – English US – è più ricca.
- come possiamo essere utili al nostro pubblico di riferimento? Questo è il campo in cui mi permetto di sperimentare un po’: fino ad ora mi sono basata su miei contenuti già pubblicati e su contenuti di altri con cui il mio pubblico sta interagendo, questa è la fase in cui cerco di pensare a qualcosa di nuovo.
Queste tre domande me le faccio sia a inizio lavoro, sia – se richiesto e concordato – in fase di revisione. La fase di revisione è interessante: spesso esce fuori che quello che tu avevi immaginato come contenuto davvero interessante e utile riceve molte meno interazioni di contenuti che avevi inserito per altri scopi (ad esempio per fare promozione, e lì è il colmo!). È normale: alcuni contenuti hanno vita più breve, il calendario è un oggetto vivo che deve cambiare nel tempo e seguire l’evoluzione del tuo pubblico. Il bello è che non si cambia a caso: ci sono i dati che ti mostrano la strada.
Le decisioni degli algoritmi
In tutto questo ci sono gli algoritmi che decidono le sorti del tuo contenuto.
Gli algoritmi sono come dei tizi che stanno alla selezione all’ingresso di un locale: il locale è pieno di gente, la serata è proprio quella che fa per te. Vuoi entrare, ma prima devi passare la selezione. Con in più una crudeltà: il locale l’hai riempito tu, quella è la tua gente. Fuori di metafora: tu produci il contenuto e loro decidono se, quando, quanto e a chi mostrarlo tra i tuoi fan/follower. È giusto? Dobbiamo ribellarci?
Vado dritta al punto e dico che secondo me sì, è giusto così. Per due motivi:
- non ti hanno obbligato a riempire di gente proprio quel locale lì, tu la gente potevi invitarla a casa tua (nella tua mailing list, per dire).
- non stai pagando l’affitto delle pareti di quel locale, però i costi ci sono: il locale è un’azienda, deve fatturare. Quindi ehi, se lo usi gratis c’è l’algoritmo con cui fare i conti. Altrimenti ci sono sempre le sponsorizzazioni a pagamento.
La differenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo
In tutto questo c’è una questione ulteriore, e riguarda tutti noi in quanto user: è giusto che un algoritmo decida al posto mio cosa devo vedere nel mio feed? Non possono lasciare l’ordine cronologico e fare decidere a me cosa mi interessa e cosa no? Saranno problemi miei, scusa.
Su questo la questione è complessa: da una parte c’è l’idea che abbiamo / vogliamo dare di noi, e di conseguenza i contenuti che diciamo di preferire. Se vai in un’aula e chiedi «chi di voi ama i gattini su internet?» la maggior parte delle persone risponde che no, basta, non se ne può più.
Dall’altra ci sono le cose che preferiamo davvero, e che magari ci scoccia ammettere di preferire. Così se vai sul feed Facebook delle persone che hanno detto che non ne potevano più noti che è tutto costellato di animaletti. (Provate, è un esperimento divertente.) Siamo tutti così: ci giudichiamo da soli, ci rappresentiamo in modi che non corrispondono totalmente alla realtà, spesso omettiamo delle parti che non ci piacciono.
Gli algoritmi invece non giudicano, non omettono: loro sanno davvero quali sono i contenuti con cui interagisci di più (perché ti soffermi più a lungo a guardarli ad esempio, o perché commenti, o perché spesso cerchi quella cosa anche se non la segui). Da un certo punto di vista ti conoscono meglio di te stesso.
Il discorso è – e lascio la domanda aperta, perché non è una cosa a cui si può rispondere così, su due piedi: chi dovrebbe decidere se i contenuti sono interessanti? L’idea che abbiamo di noi? Oppure il nostro uso quotidiano degli strumenti?